domenica 31 marzo 2013

E' nato il sito di Recinto Internazionale



Cari lettori,
dopo quasi 5 anni, Recinto Internazionale lascia questa sua originaria "casa- blog", che ci ha dato molte soddisfazioni e ci ha fatto conoscere al mondo della Rete, per approdare alla versione sito. Eccoci debuttare da ieri con questo nostro nuovo sito, in parte da completare, ma pienamente  operativo. Chi volesse continuare a leggere i nostri commenti da ora in poi visiti:

http://www.recintointernazionale.it

Grazie ancora per seguirci  e leggerci.
Serenità
RI

venerdì 29 marzo 2013

Il nastro giallo


Testo di Roberto Di Ferdinando



La Marina Militare italiana ha dedicato una pagina del suo sito (http://www.marina.difesa.it/Conosciamoci/Notizie/Pagine/20120307_yellowribbon.aspx ) a i due marò trattenuti in India, tramite web e mail gli utenti che lo desiderano possono inviare messaggi di supporto e vicinanza ai due nostri militari, per “non lasciarli soli” come si legge nell’intestazione. La pagina contiene anche l’immagine di un nastro giallo che ormai è divenuto il simbolo internazionale di sostegno a tutti quei servitori dello Stato che si trovano in situazioni di prigionia o di non libertà all’estero. Il film premio Oscar, Argo, che narra il sequestro del personale dell’ambasciata statunitense a Teheran del 1979, ha ricordato questa usanza di esporre il nastro giallo, un gesto molto patriottico e che richiama l’unità nazionale. Un gesto però che ha origini molto remote. Tanto che proprio dal sito della Marina è ricordato come nell’antichità, già a Pompei, si usasse legare un nastro di questo colore intorno ad un albero per simboleggiare l’attesa di un amore partito.
Nel XX° secolo, una canzone militare del 1917 di George A. Norton, si intitolava così: Round Her Neck She Wears a Yeller Ribbon (For Her Lover Who Is Far, Far Away) ("Lei porta un nastro giallo intorno al collo per il suo innamorato che è assai lontano").
Più recentemente, nella vicenda degli ostaggi americani a Teheran, Penelope Laingen, moglie del funzionario degli esteri più anziano in ostaggio, legò un nastro giallo intorno ad un albero nel prato della sua casa, il gesto, ripreso dalle televisioni e racconatato dalla stampa nazionale ed internazionale fece sì che nel giro di pochi giorni i nastri gialli iniziarono ad essere esposti un po’ ovunque nei luoghi privati e pubblici statunitensi.
Nel 1990, durante la prima Guerra del Golfo, i nastri riapparvero negli USA, insieme allo slogan "Sostieni le nostre truppe" (Support our troops), così come nel 2003 nell’invasione dell’Iraq.

RDF

mercoledì 27 marzo 2013

Le troppe attenzioni su Cipro


(fonte: Corriere della Sera), testo di Roberto Di Ferdinando

In queste settimana è toccato a Cipro essere al centro delle cronache finanziarie dell’Unione Europea. Ma è solo questione di bilanci? Non sembra, infatti, contemporaneamente allo scoppio della crisi economica, intorno a Cipro si sono attivati non solo i revisori dei conti comunitari, ma anche le marine militari di molti paesi. Perché Cipro, grazie al suo particolare regime finanziario, non è solo un “paradiso fiscale” (presenti ingenti capitali russi, inglesi, tedeschi e olandesi), ma anche un’isola che siede su un vero e proprio tesoro naturale: il “campo di Afrodite”, cioè un gigantesco giacimento di gas (200 miliardi di metri cubi, per un valore di 61 miliardi di euro) che può soddisfare il 40% della domanda dell’UE. E Cipro, in grossa difficoltà finanziaria, sta pensando di mettere sul tavolo dei negoziati con Bruxelles, le concessioni di questa enorme risorsa naturale. Ed ecco così l’arrivo dei russi. Infatti, a largo delle coste cipriote da alcuni giorni operano alcune navi della flotta russa del Mar Nero, ma anche la Cina si è mossa, ma senza armi, mentre la Turchia, ha fatto pressioni su Nicosia perché i vantaggi dello sfruttamento vadano anche alla minoranza turca di Cipro. Non manca alla festa neanche Israele che vuole sfruttare il tesoro e così rendersi indipendente energeticamente. Secondo il diritto internazionale ogni paese può sfruttare le risorse naturali fino ad una distanza massima di 200 miglia, ma Cipro e Israele distano 140 miglia e quindi anche Israele può avanzare diritti su questo gas. Così, il “campo di Afrodite” più che una risorsa sembra essere un problema ulteriore per uno delle più calde aree del mondo.
RDF

lunedì 25 marzo 2013

4 aprile - Convegno: La Russia e la Dinastia Romanov


Convegno Internazionale di Studi

LA RUSSIA 
E LA DINASTIA ROMANOV

Celebrazione Scientifica dedicata all'Avvento al Potere della
Dinastia Romanov alla Guida della Russia Zarista


Luogo: Roma, Palazzo Santacroce, Centro Russo di Scienze e Cultura, piazza Benedetto Cairoli 6
Data: giovedì 4 aprile 2013, ore 10.00/19.00
Patrocini: Regione Lazio, Consiglio Regionale; Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico; Ambasciata della Federazione Russa nella Repubblica Italiana
Organizzazione: Associazione Culturale “L'albatros”; Centro Russo di Scienze e Cultura
Main sponsor: Sberbank di Mosca

«Per capire le cause degli avvenimenti attuali è indispensabile conoscere la storia, vedere la interconnessione tra passato e presente. Secondo me è un dovere di ciascuno di noi saper apprezzare l’eredità lasciataci dagli antenati, studiarla, passarla alla generazione successiva. Questa questione deve essere sempre al centro dell’attenzione, sia a livello statale, sia a quello civile che a livello delle grandi aziende. Proprio per questo motivo la Sberbank di Mosca sostiene i progetti che aiutano a studiare la nostra storia e conoscere i modelli della cultura russa. Riteniamo che questa sia la nostra funzione pubblica. I 400 anni dal momento dell’instaurazione in Russia della dinastia dei Romanov è un avvenimento importante non soltanto per noi russi. Con l’ascesa al trono dei Romanov la Russia divenne una grande potenza che cominciò a svolgere un ruolo importante in Europa e nel mondo. Sono certo che la conferenza di Roma dedicata ai 400 anni dei Romanov aiuterà a vedere in modo nuovo la Russia zarista e a quei profondi rapporti reciproci esistenti tra la cultura italiana e russa».
Maksim Poletaev
Vice presidente della Sberbank della Russia
Direttore della Sberbank di Mosca

«A ogni rappresentante della dinastia dei Romanov nel corso di 300 anni è accaduto di avere a che fare in maniera particolare con l'Italia. (…). Le donne, le imperatrici russe, ugualmente apprezzavano l'Italia non meno dei loro mariti zar. Gli storici non registrano fatti riguardanti legami spirituali verso l'Italia né di Elisabetta I Petrovna né di Caterina II. Tuttavia, la moglie dell'imperatore di tutte le Russie Alessandro II, Marija Aleksandrovna, durante la vacanza in Liguria, scelse di risiedere a San Remo per curare la tubercolosi. (…) Nel 1909 c'è stata la visita dell'imperatore Nicola II al re d'Italia Vittorio Emanuele. In quella occasione fu firmato a Racconigi l'accordo di cooperazione nello scacchiere dei Balcani e del bacino del Mediterraneo. Da ultimo, recentemente, il 9 giugno 2012 nella città siciliana di Taormina è stato scoperto un busto dell'imperatore Nicola II. Quando la notizia del terremoto in Sicilia nel 1908 raggiunse il monarca russo, egli ordinò di portare immediato soccorso agli Italiani. Egli aveva chiaro che la presenza di poche centinaia di marinai sarebbe stata più importante per il rafforzamento dei rapporti con il popolo italiano che i suoi diplomatici nel corso di tutti gli anni».
Oleg Osipov
Direttore Centro Russo di Scienze e Cultura

«La Russia non è più una fantasia. Sono trascorsi circa 150 anni da quando Fëdor Dostoevskij sosteneva che questa fantasia era legata alla conoscenza limitata di quel grande paese. Molta strada è stata percorsa e oggi la Russia è percepita da tutti come una grande realtà geo-politica e socio-economica, non più ostile e minacciosa per tanta parte dell'Occidente, ma una grande realtà in tutti i sensi. La sua storia, la cultura e l'arte sono in effetti patrimonio dell'umanità. Basti ricordare i nomi di Puškin, Gogol', Tolstoj, Dostoevskij, Čajkovskij, Stravinskij, Čechov, Gor'kij, Kandinskij, Malevič, Eizenštejn e Tarkovskij per capire il contributo fondamentale alla storia dell'umanità. L'Associazione Culturale “L'albatros” è impegnata da molti anni in Italia a promuovere la conoscenza della Russia e a questo scopo risponde l'organizzazione della giornata di studi in occasione delle celebrazioni dell'ascesa al potere della dinastia Romanov. L'augurio è che il sostegno di Sberbank, a cui va la riconoscenza e la gratitudine per avere reso possibile l'iniziativa romana, possa continuare nel prossimo futuro. Questa è la dimostrazione del positivo rapporto che deve esistere tra impresa economica e cultura. È un merito di Sberbank avere scelto la cultura come veicolo di conoscenza e di sapere per rafforzare i legami di collaborazione e di profonda amicizia tra i due Paesi».
Agostino Bagnato
Presidente Associazione Culturale “L'albatros”


PROGRAMMA

Ore 10,00
saluti
Oleg Osipov, Direttore Centro Russo di Scienze e Cultura
Dino Gasperini, Assessore alle Politiche Culturali e Centro Storico di Roma Capitale
Maksim Poletaev, Vice presidente Sberbank della Russia, Presidente Sberbank di Mosca
Nicolaj Romanov, discendente della famiglia zarista

COORDINATORE
Agostino Bagnato, giornalista, scrittore, presidente Associazione Culturale “L’albatros”

interventi
Aleksej Bukalov, giornalista, scrittore, direttore ITAR TASS di Roma
La storia della Russia attraverso i suoi protagonisti dal XVII al XX secolo

Franco Ferrarotti, sociologo, scrittore, Accademia Nazionale dei Lincei
Sociologia del potere nella Russia degli zar

Ljudmila Nikitič, docente di filosofia, Università “Kosygin” di Mosca
Percezione della storia nella Russia contemporanea

Claudia Sugliano, giornalista, russista, traduttore
Figure di zar nella letteratura russa

Valerij Voskobojnikov, pianista, musicista, storico della musica
Gli zar nell’opera musicale russa

Eugenia Gaglianone, storica del cinema
Frammenti di un impero. La dinastia Romanov nel cinema russo e sovietico

Vincenzo Sanguigni, economista, Università degli Studi di Napoli “Parthenope”
Aspetti del commercio nella Russia zarista


Ore 13,30 buffet

0re 15,30
proiezione film: Russkij Kovčeg (L’arca Russa), 2002, di Aleksandr Sokurov, versione originale (sottotitoli in italiano)

0re 17,30
Inaugurazione della mostra fotografica su Vincenzo Noto, scudiero dello zar Nicola II.
Interviene Candido Greco, scrittore

0re 18,00
concerto di musiche da camera
MIZAR TRIO D’ARCHI E PIANOFORTE
Čajkovskij, Borodin, Glier’e, Amani

mercoledì 20 marzo 2013

Gli studi fiorentini di Sandro Pertini



Testo di Roberto Di Ferdinando

“La Cooperazione” è questo il titolo della tesi di laurea di Sandro Pertini, il futuro Presidente della Repubblica, che la discusse, ventottenne, il 2 dicembre del 1924 all’Istituto di Scienze Sociali “Cesare Alfieri“ (l’attuale Facoltà di Scienze Politiche) di Firenze. Per anni si è creduta andata persa in seguito all’alluvione del 1966, invece, è stata recentemente ritrovata negli archivi dell’Ateneo Fiorentino, e questa copia rimane l’ultima esistente, in quanto quella personale di Pertini andò probabilmente distrutta nell’irruzione fascista nella sua casa di Stella negli anni Trenta. L’elaborato di Pertini si compone di 248 pagine di carta velina, in copia carbone e non ha la copertina. Sandro Pertini, già dottore in Giurisprudenza a Modena, fu ammesso al terzo anno della “Cesare Alfieri” e sostenne e superò otto esami in sei mesi (all’esame di Geografia, il professor Olinto Marinelli, il più importante geografico del periodo assegna al  giovane Pertini  18/30). Pertini decise di non sostenere gli ultimi 6 esami (allora era concessa tale opzione) e di anticipare così l’impegnativa tesi di laurea. La commissione di laurea era composta da autorevoli docenti: dall’economista Giovanni Lorenzoni, il direttore dell’Alfieri, dal professore di politica e legislazione economica, Riccardo Volta, e dall’economista Piero Marsili Libelli. Il voto di laurea fu di 84/110.
La tesi del giovane Pertini adesso è stata pubblicata in un libro dal titolo “Sandro Pertini, La cooperazione. Tesi di laurea discussa nell’anno 1924 presso l’Istituto di Scienze sociali «Cesare Alfieri» di Firenze” edito dall’associazione Ames e Legacoop Liguria, un testo critico a cura di  Sebastiano Tringali e con la prefazione del professor Paolo Fabbri.
Grazie alla collaborazione della Biblioteca di Lettere della Biblioteca Umanistica dell’Università degli Studi di Firenze, è stato possibile recuperare, digitalizzare e infine pubblicare la tesi di Pertini

“La cooperazione deve compiere nel campo operaio un'opera benefica e utile sia alla causa dei lavoratori che all'economia nazionale, deve indicare la via del lavoro e non della violenza. Lotta di lavoro e non lotta di classe” (un passaggio della Tesi di laurea di Sandro Pertini – fonte: Corriere della Sera)
RDF

Lo statino della carriera universitaria di Pertini

lunedì 18 marzo 2013

Il 21 Marzo 2013 - ELEZIONI POLITICHE 2013: ANALISI E PROSPETTIVE

IL CISE - CENTRO ITALIANO DI STUDI ELETTORALI

ORGANIZZA UN INCONTRO CON STUDENTI, DOCENTI E TUTTI GLI INTERESSATI

ELEZIONI POLITICHE 2013:
ANALISI E PROSPETTIVE

Il 21 Marzo 2013 alle ore 16:00
Polo delle Scienze Sociali di Novoli – Aula D6/0.13 - Via delel Pandette, 32 - Firenze

Presenteranno i dati:
Matteo Cataldi, Federico De Lucia, Vincenzo Emanuele, Nicola Maggini, Aldo Paparo
(collaboratori del CISE - Centro Italiano di Studi Elettorali)

Seguirà una tavola rotonda alla quale interverranno:
· Prof. Mario CACIAGLI (DSPS - Università di Firenze)
· Prof. Alessandro CHIARAMONTE (DSPS - Università di Firenze)
· Prof. Roberto D’ALIMONTE (Università LUISS «Guido Carli»)
· Prof. Lorenzo DE SIO (Università LUISS «Guido Carli»)
· Prof. Carlo FUSARO (DSG - Università di Firenze)

domenica 17 marzo 2013

L’ambasciatore italiano “trattenuto” in India


(fonte: Corriere della Sera), testo di Roberto Di Ferdinando

La vicenda dei due marò in India, sta diventando oltre che molto lunga nei tempi ed incerta sugli esiti legali per i due militari, anche drammaticamente confusa e quasi ingestibile. Infatti, oggi stiamo commentando un caso raro nel mondo diplomatico. L’ambasciatore italiano in India e Nepal, Daniele Mancini, è trattenuto nel subcontinente asiatico, quindi non può uscire dal paese, nonostante sia persona non “gradita”dal governo indiano. Questo perché Roma non farà rientrare i due marò in India, dopo aver ottenuto un permesso di 4 settimane in Italia per esercitare il loro diritto di voto. I rapporti diplomatici Italia-India così sono a livelli minimi. L’ambasciatore Mancini non è più persona gradita in quanto aveva sottoscritto con il tribunale indiano competente del caso un accordo (ovviamente autorizzato dal governo di Roma) e quindi facendosene garante, che stabiliva che i due marò al fine del permesso sarebbero tornati in India. Pur non essendo gradito il diplomatico egli non può lasciare l’India , un quasi fermo. Inoltre l’India ha sospeso le procedure d’insediamento del proprio nuovo ambasciatore a Roma. Questo atteggiamento dell’India, però, viola l’immunità diplomatica garantita dalla Convenzione di Vienna del 18 aprile 1961, (http://www.unifi.it/offertaformativa/allegati/uploaded_files/2011/200011/B000114/Convenzione%20Vienna%20sulle%20relazioni%20diplomatiche%201961.pdf ), che recupera un antichissimo  principio (ne impediatur legatio), secondo il quale uno Stato non può adottare misure che impediscano le attività della missione diplomatica. Il rischio è che l’India stia “trattenendo” l’ambasciatore Mancini come pedina da usare per sollecitare il governo italiano a far rientrare in India i due marò.
L’ambasciatore Mancini, 60 anni, è giunto in India a gennaio 2013. Laureato in Scienze Politiche con il massimo dei voti e lode alla Sapienza di Roma è diplomatico dal 1978. Negli anni Ottanta ha lavorato a Baghdad, quale primo segretario, poi Madrid, Islamabad, Washington, Parigi, alla Nato e in Romania. Dal 1988 al 1993  faceva parte del gabinetto degli allora vari Ministri degli Esteri (Andreotti, De Michelis, Scotti, Colombo e Andreatta) e fino a dicembre 2012 è stato il consigliere diplomatico del ministro per lo sviluppo economico, Corrado Passera. Mancini è anche giornalista pubblicista con una varia produzione, dalle poesie  a temi storico-economici.
RDF

giovedì 7 marzo 2013

9 Marzo - LETTURA SCENICA DA TESTI DELLA RIVOLUZIONARIA RUSSA ALEXSANDRA KOLLONTAJ, LA PRIMA “MINISTRA” DELLA STORIA

La Fondazione il Fiore di Firenze celebra la festa delle donne il 9 marzo con ‘L’unica scelta possibile’ di Sabrina Faller dagli scritti di una protagonista della Rivoluzione d’ottobre. Ingresso libero

«La prima donna ministro della storia e la prima ambasciatrice». Può essere descritta così, attraverso questi due primati, la straordinaria figura di Aleksandra Kollontaj (S. Pietroburgo 1872 – Mosca 1952) che sarà celebrata dalla Fondazione il Fiore di Firenze per la festa delle donne 2013, nell’ambito del calendario organizzato dal Comune.
L’intellettuale e politica russa, che fu tra i protagonisti della rivoluzione sovietica, sarà ricordata il 9 marzo alle 17,30, nella Biblioteca delle Talpe della splendida sede della fondazione sulle colline di Bellosguardo, attraverso una lettura scenica a tre voci - con corredo di immagini, musiche e voci originali - de ‘L’unica scelta possibile’ di Sabrina Faller, tratto da alcuni importanti testi della Kollontaj. Gli interpreti sono Marina Zazo (che impersona Alexsandra Kollontaj), Annalena Aranguren (nei panni della sua insegnante Maria Strachova) e Luca Berni (a cui spettano tutti i ruoli maschili). L’ingresso è libero.
Al centro della vita di Alexsandra Kollontaj ci fu l’interesse per la condizione della donna. Saggista, oratrice, attivista politica, giornalista, visse in esilio percorrendo l’Europa e facendo tappa anche negli Stati Uniti, dal 1908 al ‘17, anno in cui partecipò con Lenin alla Rivoluzione d’ottobre. Nominata commissario per l’assistenza sociale, progettò una radicale riforma sanitaria, che prevedeva un sistema pubblico gratuito per tutto il Paese, ponendo l’accento sull’assistenza pre e neonatale per madre e bambino. Allontanata dalla vita politica per essersi schierata contro la nuova politica economica di Lenin, nel 1922 fu nominata ambasciatrice in Norvegia. Lavorò in ambito diplomatico fino al 1945, contribuendo ai trattati di pace dell’Urss con la Svezia e la Finlandia. Morì a Mosca nel 1952.
‘L’unica scelta possibile’ di Sabrina Faller, pur proponendo un’interpretazione originale del suo pensiero e della sua vasta opera, si fonda su testi noti e meno noti di Aleksandra Kollontaj. In particolare sull’Autobiografia; su una lettera, “Largo all’Eros all’alato!” (pubblicata nel 1923 su una rivista russa), in cui propone una nuova idea di amore che la rivoluzione bolscevica avrebbe dovuto fare propria; e su uno scritto quasi visionario (“Presto! Fra 48 anni”) che le fece ‘prevedere’ un ipotetico futuro.

Per ulteriori informazioni, Fondazione Il Fiore. Tel: 055 224774

Testo tratto da: http://met.provincia.fi.it/news.aspx?n=138704

mercoledì 6 marzo 2013

La debolezza militare dell’Europa


(fonte: Style-Corriere della Sera)

Ernesto Galli Della Loggia, in un suo articolo sull’ultimo numero del mensile Style (in abbinamento al Corriere della Sera), riporta alcune notizie interessanti riguardo la riduzione delle spese militari nei paesi europei. Ad esempio, il Capo di Stato Maggiore svedese, Sverker Goranson, ha denunciato che se la Svezia subisse un attacco convenzionale, le forze armate svedesi potrebbero sostenere il confronto militare per non oltre una settimana, e questo sarebbe dovuto al fatto che il bilancio della difesa della Svezia si è ridotto del 50% negli ultimi 15 anni, tanto da ipotizzare che Stoccolma possa perfino dover rinunciare ad una delle tre forze armate.
Altri dati curiosi. In Europa solo la Gran Bretagna e la disastrata (economicamente) Grecia (dopo gli USA e il paese NATO con il più alto bilancio militare rispetto al proprio PIL)  spendono il  2% del proprio PIL per la difesa (l’Italia spende l’0,80%), percentuale richiesta dagli USA perchè non ricadesse, sempre e solo sugli statunitensi, l’onere della “difesa” dell’Occidente (nella “sua” guerra in Mali, la Francia ha dovuto chiedere aiuto all’Italia per alcuni veicoli per trasportare le truppe perché non poteva disporne più di propri). L’Europa sta perdendo terreno anche nell’industria degli armamenti, a vantaggio degli USA. Il Vecchio Continente ancor più che nel passato rischia di dover dipendere per la propria difesa esclusivamente dagli USA. Unica realtà dinamica in Europa in campo di armamenti è la Germania. L’industria tedesca di armamenti impiega circa 80.000 persone e Berlino è la terza esportatrice di armi al mondo, dopo Usa e Russia. Infatti, negli ultimi anni i governi tedeschi, abbandonando i complessi passati del secondo conflitto armato,hanno dato il via libera alle esportazioni militari per 10 miliardi di euro. Nel frattempo l’UE non ha una politica estera ed un esercito comunitario…
RDF

martedì 5 marzo 2013

12 marzo 2013 - Presentazione Libro: "Il Capitale: critica dell'economia politica"


"Il Capitale: critica dell'economia politica" Opere complete, vol. XXXI La Città del Sole, 2011

A cura di Roberto Fineschi. Ne discutono con il curatore: Bruno Accarino e Sergio Caruso (Università di Firenze) coordina Manfredi Alberti (Università di Roma Tre)

ore 16,15 - Polo delle Scienze Sociali, Edificio D4, Aula 06, via delle Pandette, 35 Firenze

Firenze 8 marzo - Anniversario della deportazione nei campi di sterminio

Binario 16 - Anniversario della deportazione nei campi di sterminio

In piazza Santa Maria Novella alle 10 commemorazione promossa dall’Associazione Nazionale Ex Deportati; alle 11.30 al Binario 16 della Stazione di Santa Maria Novella deposizione di una corona di alloro.

7 marzo - Firenze: presentazione del libro: "Era ancora un ragazzo".

7 marzo - Ore 17


Nel Salone de' Dugento di Palazzo Vecchio in Firenze, il Presidente Giani, il Sindaco di Mauthausen (città legata a Firenze dal patto di fratellanza), Alessio Ducci (presidente ANED FIrenze), Daniele Vogelmann presenteranno il libro di Massimo Settimelli "Era ancora un ragazzo".





“Che l’amicizia fra Firenze e Mauthausen sia il più grande deterrente contro le tragedie e l'olocausto umano come quello perpetrato il 7 e l’8 marzo di 67 anni fa quando molti fiorentini furono deportati nel lager e non fecero mai più ritorno”. Eugenio Giani (Presidente del Consiglio Comunale )

giovedì 28 febbraio 2013

Ciclo Conferenze: Politica e Antipolitica

Villa Arrivabene - Piazza Alberti 1/A - Firenze
Il sabato alle ore 17,00
Ingresso libero

2 marzo 2013
Politica e antipolitica: un’introduzione storica - Pietro Costa – Università di Firenze

9 marzo 2013
Le diverse facce della politica - Franca Bonichi - sociologa

16 marzo 2013
Crisi della rappresentanza e antipolitica - Luigi Ferraioli - giurista

23 marzo 2013
Politica e antipolitici - Vittorio Mete – Università di Catanzaro

6 aprile 2013
Crisi della politica e magistratura - Beniamino Deidda - magistrato

13 aprile 2013
Politica e scuola al tempo del neoliberismo - Andrea Bagni - docente

20 aprile 2013
Forme alternative di partecipazione - Tommaso Fattori - European Commons research project

martedì 26 febbraio 2013

Politiche in Italia: si profila il rischio greco

Francesco Della Lunga

Lo scrutinio elettorale in Italia lascia prevedere che il prossimo parlamento sarà ingovernabile. Grazie soprattutto ad una legge elettorale che nessun partito politico ha voluto modificare nella precedente legislatura, è possibile osservare dei dati talmente curiosi che pensiamo farebbero trasudare indignazione in qualsiasi altro paese europeo o, se vogliamo allargare in termini culturali, occidentale. Al Senato della Repubblica, dove la legge elettorale ha generato delle coalizioni, si vede che i partiti politici principali e nella fattispecie il Partito Democratico, riesce ad avere circa il 4% in più del proprio principale avversario, il PDL, con una forbice di voti di circa due milioni. Eppure il sistema di trasmissione in seggi dei voti ottenuti ribalta la situazione: 104 per il PDL e 96 per il PD. Poi durante lo scrutinio la situazione pare riequilibrarsi. In ogni caso, alla quasi chiusura degli scrutini su tutti i seggi, sia alla Camera dei Deputati che al Senato, la situazione appare di un equilibrismo incredibile, tale da tramutare questi risultati in una situazione di ingovernabilità totale. Appare sinceramente incredibile l’exploit della nuova formazione politica, quella del comico Beppe Grillo. Come dichiarato in più di un occasione dal suo leader, si è trattato di un vero e proprio tsunami. Nessun partito politico, che si è presentato per la prima volta alle elezioni, è riuscito ad arrivare primo nella gara per il consenso dei cittadini. Una rivoluzione incruenta, o una rivoluzione di velluto, se vogliamo usare termini un tempo usati per altri sommovimenti politici in Europa. Nelle prossime settimane si presenteranno in Parlamento dei veri e propri sconosciuti e, almeno apparentemente, non legati al vecchio sistema politico ed alle vecchie clientele. Paiono giovanissimi e di nessuna o quasi esperienza politica. Persone che vengono dalla società civile, come si usa dire oggi, dimenticando che anche gli altri vengono dalla stessa società che difficilmente può essere definita incivile. Vedremo cosa accadrà nei prossimi giorni e soprattutto se l’attuale Presidente della Repubblica riuscirà a dare un mandato per la formazione del nuovo Governo. Ma prima passerà del tempo perché dovranno essere riunite le Camere, dovranno essere votati i presidenti e poi forse arriveremo alla fine del mandato di Napolitano. Insomma, nelle prossime settimane si deciderà il futuro del Paese. Il rischio è veramente la balcanizzazione oppure il caso greco con nuove elezioni subito dopo l’estate. Ma il Movimento 5 Stelle potrebbe davvero creare un precedente in Europa, con l’Italia nuovamente il laboratorio politico del continente. Sperando che la rivoluzione incruenta possa generare buoni frutti.

giovedì 21 febbraio 2013

Imperium di Christian Kracht



A marzo l’editore Neri Pozza pubblicherà in Italia il libro Imperium di Christian Kracht, il caso letterario del 2012 in Germania, intorno al quale si è acceso anche un intenso dibattito per via delle accuse di razzismo mosse da un articolo di George Diez, su Spiegel.
Si veda anche: http://it.paperblog.com/a-proposito-del-romanzo-di-christian-kracht-1652567/ e l’articolo di Mirella Serri su Sette-Corriere della Sera del 15 fenbbraio 2013

Christian Kracht è nato in Svizzera nel 1966. I suoi romanzi precedenti, Faserland (1995), 1979 (2001) e Ich werde hier sein im Sonnenschein und im Schatten (2008) sono stati tradotti in piú di venticinque lingue.

All’inizio del Ventesimo secolo, il Prinz Waldemar è un poderoso e moderno piroscafo da tremila tonnellate che, ogni dodici settimane, proveniente da Hong Kong, solca l’oceano Pacifico diretto a Sydney, toccando le terre del protettorato tedesco, la Nuova Pomerania. A differenza delle colonie africane, quelle terre sono, per l’Impero di Guglielmo II, assolutamente superflue. I proventi della copra, del guano e della madreperla non bastano a coprire i costi di mantenimento di un possedimento cosí vasto sperduto in Oceania. Ma nella lontana Berlino si parla di quelle isole come di preziose perle iridescenti infilate in una collana.
Attratti perciò dal loro irresistibile richiamo paradisiaco, avventurieri e sognatori di tutti i tipi si imbarcano ogni dodici settimane sul Prinz Waldemar verso i mari del Sud.
Tra questi, un giovane uomo di venticinque anni, con gli occhi malinconici di una salamandra, gracile, mingherlino, i capelli lunghi e la barba che sfiora irrequieta la casacca senza collo.
Si chiama August Engelhardt. È vegetariano e nudista, e qualche tempo fa ha scritto un libro dall’affascinante titolo Eine sorgenfreie Zukunft, «Un futuro spensierato», e ora è in viaggio verso la Nuova Pomerania per acquistare della terra e avviare una piantagione di noci di cocco. Vuole diventare un piantatore, ma non per sete di profitto, bensí per un’intima, spirituale convinzione.
Dopo un processo di eliminazione che lo ha indotto a ritenere impuri tutti gli altri alimenti, Engelhardt si è imbattuto nel frutto della palma da cocco. E ha ricavato una certezza assoluta: eleggere quel frutto, che cresce rivolto verso il sole e il fulgido Signore Iddio, a unico nutrimento non è soltanto una sana scelta alimentare, ma un modo per accostarsi a Dio e al segreto stesso dell’immortalità. Il desiderio piú grande di August Engelhardt, la sua vocazione, è perciò creare una colonia di coccovori, di mangiatori di cocco, nelle nuove terre dell’Impero.
Ispirato a una figura realmente esistita, Imperium ci trascina in un surreale turbine narrativo, dove l’avventura di Engelhardt raffigura esemplarmente il naufragio stesso dell’anima tedesca agli albori del XX secolo, e mostra la vera natura di questo romanzo: una magnifica parabola letteraria sugli abissi, sugli smarrimenti e sui pericoli insiti nell’autoaffermazione del romanticismo tedesco a partire dal XIX secolo”.


“Imperium “
di Christian Kracht
Pagine 192
Euro 16,00
Editore Neri Pozza
Collana: Bloom

domenica 17 febbraio 2013

Gli italiani di Kerch


(fonte: Corriere della Sera), testo di Roberto Di Ferdinando

Nella sua rubrica “Lettere al Corriere”, Sergio Romano, sollecitato da un lettore, ricorda la comunità italiana di Kerch, nell’ex Unione Sovietica. Alla metà dell’Ottocento alcune centinaia di emigranti italiani, in particolare dalla Puglia, si stabilì a Kerch, città strategica in Ucraina, tra il Mar Nero e il Mar di Azov. Nei decenni successivi in città si venne così a creare una comunità di cittadini russi (sovietici) di origine italiana. Il 29 gennaio 1942, in piena guerra mondiale, Stalin ordinò una delle sue tante deportazioni di “nemici” interni, questa volta le vittime furono gli “italiani” di Kerch. All’alba di quel giorno fu ordinato loro di preparare un bagaglio a testa del peso massimo di 16 kg  e furono imbarcati nella stiva di una nave e trasferiti prima a Novorosijsk e poi (il viaggio durò un mese e in pieno inverno) in alcune villaggi del Kazakistan. Le donne furono impiegate nei kolchoz (fattorie collettivizzate), invece gli uomini ai lavori forzati nelle miniere di Cheljabinsk. In quei primi mesi molti di loro morirono di freddo  e di stenti. Solo dopo la fine della guerra alcuni decisero di rientrare a Kerch, altri rimasero in Kazakistan. La comunità “italiana” a Kerch ancora oggi sopravvive e chiede un riconoscimento ufficiale da parte dell’Italia.
RDF

mercoledì 13 febbraio 2013

Gli USA arruolano i cyber warrions


(fonte: Corriere della Sera), testo di Roberto Di Ferdinando

Il Pentagono ha deciso di cambiare strategia difensiva. Per motivi di tagli alla spesa militare ha ridotto di 20.000 unità il corpo dei Marines ed ha dato il via libera all’arruolamento di soldati “speciali”, i cyber warrions, quintuplicandone il numero (da 900 a 4.900 esperti). Infatti da circa tre anni il Pentagono assume anche ex pirati informatici per creare unità speciali (cyber comand) che fronteggino le minacce tecnologiche, ormai sempre più diffuse e pericolose (secondo il Pentagono almeno 10 Stati sarebbero in grado di sferrare un attacco informatico devastante nei confronti degli USA). Nel 2010 al Forum economico di Davos, fu affrontato il problema della guerra cibernetica, e la senatrice USA, Susan Collins, denunciò che gli Stati Uniti non avevano le misure per affrontare una minaccia simile e non avrebbero saputo nemmeno quale agenzia coinvolgere nella difesa. Mentre la Cina sforna ogni anno centinaia di migliaia di ingegneri informatici, gli USA possono contare (come del resto l’Europa) solo su poche centinaia di ingegneri, ecco quindi la scelta dell’amministrazione militare a stelle e strisce di arruolare anche pirati informatici “redenti” contattati dagli ufficiali USA anche al DefCon, l’annuale raduno americano di migliaia di hacker.
RDF

Libro: “La scelta di Nadja. Io la moglie di Stalin”


Testo di Roberto Di Ferdinando

Scritto da Angela Feo (prefazione di Maria Giovanna Maglie – Editore: Sassoscritto), il libro racconta la storia di Nadja Allilueva, la seconda e giovanissima moglie di Stalin. Nadja nasce in una famiglia di attivisti bolscevichi, ammiratori di Lenin. E proprio in famiglia conosce Stalin che durante gli anni della Rivoluzione d’Ottobre ha un ruolo secondario all’interno del movimento rivoluzionario. Nadja è una ragazza dal carattere forte, convinta della causa rivoluzionaria e devota al bene della collettività. Ma ben presto la vita accanto a Stalin non sarà semplice, ma causa di umiliazioni e dolore, tanto che il 9 novembre 1932 Nadja si suiciderà in casa sparandosi un colpo alla tempia.
RDF


venerdì 8 febbraio 2013

Napolitano: nel 1948 la scelta del PCI contro l’Europa e la Nato bloccò la dialettica politica in Italia


Testo di Roberto Di Ferdinando

Mercoledì scorso il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nella sua Lectio all'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale dal titolo "L'Italia e la politica internazionale", in alcuni passaggi ha ricordato come il PCI nel 1948, non scegliendo per l’integrazione europea e per l’alleanza con gli Stati Uniti, determinò una forte contrapposizione politica tra i due fronti partitici dell’epoca, bloccando così la dialettica nei rapporti tra partiti opposti con ripercussioni anche negative nello sviluppo dell’Italia. Napolitano ricorda che il PCI si “ravvide” sull’Europa federata negli anni Sessanta e sulla NATO solo negli anni Settanta, e solo allora l’Italia poté avere una politica d’integrazione condivisa tra i principali partiti parlamentari.
Napolitano, iscritto giovanissimo al Pci, nel 1956, con i fatti di Ungheria e nel 1968, con quelli di Praga, ciriticò pubblicamente la dirigenza del proprio partito in quanto troppo allineata alle scelte nefaste e sanguinanti di Mosca, ma allora il futuro Presidente della Repubblica fu minoranza all’interno del suo partito.
Da poche ore le agenzie di stampa hanno battuto la notizia che il Presidente Napolitano, in un intersita all’Osservastore Romano si sia così espresso nei confronti del comunismo:  “[…]certo, è stato impossibile – se non per piccole cerchie di nostalgici sul piano teoretico e di accaniti estremisti sul piano politico – sfuggire alla certificazione storica del fallimento dei sistemi economici e sociali d’impronta comunista.

Riporto di seguito il testo integrale della Lectio all'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale dal titolo "L'Italia e la politica internazionale" del Presidente Giorgio Napolitano.
(testo tratto da: http://www.quirinale.it/)

Sono stato accolto altre volte nella sede di questo prestigioso Istituto - anche da Boris Biancheri, nobilissima figura il cui ricordo resta in me ben presente - per partecipare a incontri e dibattiti, sempre, vorrei dire, di alta qualità e distinzione. Ma questa volta, accogliendo il cordiale invito del Presidente dell'ISPI, Ambasciatore Aragona - cui mi legano antichi sentimenti di stima per averlo seguito nell'impeccabile svolgimento delle missioni affidategli - mi sono predisposto a una prova più impegnativa. Perché ho inteso che ci si aspettasse da me, qui oggi, una riflessione sull'esperienza da me compiuta sul terreno delle relazioni internazionali, su quel che ho potuto trarne di valutazioni e di stimoli. Mi riferisco all'esperienza recente vissuta nel corso del mandato che sto portando a compimento ; ma anche, in qualche modo, a un'esperienza più lunga, partita da lontano e attraversata da me in altre vesti politico-istituzionali.
Come si sa, nel nostro ordinamento il Presidente della Repubblica non ha poteri esecutivi : in nessun campo, nemmeno in quello della politica estera e di sicurezza. 

Ma in quanto Capo dello Stato, ed essendo innanzitutto chiamato a rappresentare l'unità nazionale, il Presidente svolge secondo l'ispirazione che gli è propria le funzioni, innanzitutto indicate nell'articolo 87 della Costituzione, le funzioni naturali e obbligate, dell'"accreditare i rappresentanti diplomatici" dei paesi con i quali l'Italia ha relazioni ufficiali, del "ratificare i trattati internazionali", dell'incontrare capi di Stato ed esponenti di governo di nazioni amiche, dello svolgere missioni all'estero, dell'esprimersi pubblicamente su questioni di politica internazionale.
E l'ispirazione di cui parlo è quella del rafforzare e trasmettere orientamenti largamente condivisi in seno alle istituzioni rappresentative del nostro paese, ovvero un approccio nazionale unitario, essenziale per la massima valorizzazione del ruolo dell'Italia sul terreno delle relazioni internazionali.
E' in questo senso che mi sono costantemente mosso nel corso del settennato. Ben sapendo, anche, come gli orientamenti condivisi di politica estera e di sicurezza, che sentivo di poter interpretare e coltivare, fossero via via maturati nei decenni dell'Italia repubblicana attraverso un processo difficile e richiedano oggi aggiornamenti e puntualizzazioni rilevanti.
La nostra Repubblica, le sue istituzioni, le sue forze politiche più rappresentative, conobbero prestissimo - nonostante il prodigioso approdo dell'Assemblea Costituente, con l'approvazione a larghissima maggioranza della Legge fondamentale - una rottura radicale. A partire dal 1948, la divisione dell'Europa e del mondo in due blocchi contrapposti, a forte connotazione ideologica ancor prima che militare, si rispecchiò nell'antagonismo irriducibile tra i due maggiori schieramenti politici ; e quello di opposizione, guidato dalla sinistra socialista e comunista, si identificò col duplice rifiuto iniziale del disegno di integrazione europea e dell'alleanza con gli Stati Uniti d'America.
Quel rifiuto, quella scelta di campo sul piano internazionale, avrebbe rappresentato una fatale palla di piombo al piede del partito divenuto egemone nella sinistra, bloccando a lungo una normale dialettica nei rapporti politici e nelle prospettive di governo del paese. Tuttavia, a partire dagli anni '60 si mise in moto un graduale riavvicinamento, tra le principali forze politiche italiane, nell'impegno europeistico, e innanzitutto nella partecipazione al Parlamento europeo. Fu necessario invece ancora un decennio per il superamento, nella sinistra, dell'ostracismo verso la NATO. Ma un sostanziale ripensamento si fece strada di fronte alla sempre più scoperta e dura caratterizzazione - fin dall'intervento militare del 1968 in Cecoslovacchia - della leadership sovietica in termini di chiusura a ogni evoluzione democratica in seno al blocco dell'Est, e di negazione di ogni sovranità e libertà di determinazione nei paesi membri del Patto di Varsavia.
Il punto di arrivo di quei processi di ripensamento e riavvicinamento venne segnato con la risoluzione, davvero "storica", approvata dal Senato e dalla Camera dei Deputati nell'ottobre e nel dicembre del 1977, cioè nel periodo del governo di "solidarietà nazionale". La risoluzione recava le firme dei rappresentanti - e ottenne il voto dei gruppi parlamentari - di tutti i partiti dell'"arco costituzionale". Quei partiti si riconobbero solidalmente, per la prima volta, "nel quadro dell'alleanza atlantica e degli impegni comunitari, quadro" - cito - "che rappresenta il termine fondamentale di riferimento della politica estera italiana".
Quel comune riferimento fu sottoposto - anche negli anni '80 - a non trascurabili tensioni e prove, ma non venne mai più offuscato. Naturalmente, si deve in generale osservare che mettere fuori discussione quelli che potremmo definire i due pilastri della collocazione internazionale dell'Italia, non escludeva e non esclude la possibilità di distinzione e diversità di vedute su singole, concrete scelte di politica estera.
Ma la questione oggi non è questa, quanto quella del mutamento profondo della cornice mondiale entro cui è chiamata ad operare la politica estera e di sicurezza nell'Italia, pur in continuità con quegli ancoraggi fondamentali sanciti dal più vasto arco di forze politiche 35 anni orsono.
Ed è su tale profondo mutamento, e sulle sue implicazioni, che vorrei questa sera intrattenervi. Non si può, a questo proposito, non ripartire dal decisivo spartiacque rappresentato - tra il 1989 e il 1991 - dalla dissoluzione del Patto di Varsavia e quindi della stessa Unione Sovietica. Si aprì allora una fase che sarebbe durata fino alla fine del ventesimo secolo o agli inizi del successivo. E si può dire che mai si era avuta una simile affermazione del primato mondiale dell'Occidente, un simile esplicarsi della sua forza di attrazione politica, economica e ideale, insieme con la sopravvivenza - al lungo periodo della sfida con la superpotenza sovietica - degli Stati Uniti come sola superpotenza militare.
Apparve allora non irragionevole parlare di mondo unipolare, e perfino di "fine della storia". Ma nel primo decennio di questo XXI secolo lo scenario mondiale è venuto esibendo trasformazioni e ulteriori tendenze evolutive, tali da imporre ben diverse categorie di giudizio e di previsione. L'emergere di nuove grandi realtà e forze protagoniste, innanzitutto ma non solo sul terreno economico - la Cina, l'India, il Brasile - il nuovo dinamismo di paesi del Sud Est Asiatico e anche di un grande paese come la Turchia nella vasta regione a cavallo tra l'Europa e l'Asia, il recupero di posizioni e il consolidamento, anche politico, della Russia, forte della valorizzazione delle sue risorse energetiche, hanno sancito un processo di spostamento del centro di gravità dello sviluppo mondiale dall'Atlantico al Pacifico, segnalando soprattutto l'ascesa dell'Asia - nella quale già nel secolo scorso si era affermata la potenza del Giappone ed era emersa la capacità di avanzamento della Corea del Sud.
Ecco che allora anche nelle più sofisticate analisi americane, una crescente attenzione è stata rivolta - guardando al mondo dall'Occidente - al "resto", come lo si è definito : sempre meno semplice e secondario "resto", e piuttosto ormai decisivo quadrante del mondo in via di cambiamento. E' stato via via messo l'accento sui limiti della potenza americana, e sulle difficoltà di un'Europa ancora debolmente integrata e in perdita di produttività, si è evocata l'immagine di un "mondo post-americano" e si sono assunte con allarme le proiezioni del calo già in atto del peso demografico ed economico dell'Occidente.
Né si può trascurare l'incidenza di un più complesso fenomeno, quello del drammatico sminuirsi - rispetto all'ultimo decennio del ventesimo secolo - del "global standing" dell'America, della sua credibilità presidenziale e nazionale, e della condivisione delle sue istanze di sicurezza.
Questa severa valutazione è stata motivata da una personalità del livello di Brzezinski sulla base di una drastica critica alle reazioni della Presidenza di George Bush al terribile colpo sferrato da Al Qaeda al cuore dell'America l'11 settembre del 2001. Una drastica critica dell'impostazione e conduzione della pur giusta immediata risposta militare in Afghanistan, così come della grave decisione unilaterale di muovere guerra all'Iraq ; in definitiva, dell'incapacità di esprimere una strategia di isolamento dell'estremismo e del terrorismo islamico dal più vasto mondo musulmano, anche perseguendo una soluzione di pace nel Medio Oriente.
Rispetto a quell'improvvido corso della politica internazionale degli Stati Uniti, una svolta lungimirante fu intrapresa dal Presidente Obama. 

Nel libro "Does America Need a Foreign Policy?", apparso nel 2001, Henry Kissinger aveva rilevato come "all'alba del nuovo millennio, gli Stati Uniti godessero di una preminenza ineguagliata anche dai maggiori imperi del passato" ; ma aveva poi sviluppato un approccio altamente problematico, riassumibile nell'interrogativo che egli poneva a un'America giunta all'apice della sua potenza : "impero o leader?". Per concludere così : "In ultima istanza, la sfida per l'America sta nel trasformare la sua potenza in consenso morale". 

Otto anni più tardi, in una situazione gravemente deteriorata e fattasi ben più complessa, si può dire che il nuovo Presidente si accinse a raccogliere la sfida mirando appunto a recuperare o costruire un consenso morale perduto o seriamente scosso. Ma egli era ormai alle prese con una nuova durissima prova : la crisi finanziaria esplosa negli Stati Uniti nel 2008. Crisi esplosa per effetto - seguo la traccia della prima e forse più penetrante analisi, quella di Tommaso Padoa Schioppa - di una "resa dei conti sul disavanzo con l'estero degli Stati Uniti" e dello "scoppio della bolla immobiliare", entrambe generatrici di un'onda di "grande panico". Crisi che si è propagata in Europa e ha quindi introdotto uno "sconvolgimento complessivo nel corpo dell'economia globale". Quel che non ha retto è stato il "modello di crescita senza risparmio dell'economia degli Stati Uniti" (la definizione è ancora di Padoa Schioppa), cioè dell'economia più grande e ricca del mondo ancora nel passaggio dal XX al XXI secolo. Lo "sconvolgimento complessivo" che ne è scaturito ha impresso un'ulteriore, netta accelerazione a quel mutamento del rapporto tra l'Occidente e "il resto" del mondo che già stava segnando il processo di globalizzazione.
Siamo in effetti - è pacifico, direi, constatarlo - in un mondo che poggia su ben più numerosi pilastri, e che nello stesso tempo si può definire, come lo definisce Charles Kupchan, "un mondo di nessuno" ; un mondo che si caratterizza per la graduale redistribuzione e comunque, innanzitutto, per la dispersione del potere globale ; un mondo che è attraversato da una sorta di "risveglio politico globale" (Brzezinski), ma è anche esposto al moltiplicarsi di focolai di crisi e di minacce alla sicurezza collettiva. Si impone quindi la ricerca di nuove sedi e scelte di governance globale innanzitutto sul piano economico, una nuova e più avanzata prospettiva multilateralista, un nuovo quadro di cooperazione e solidarietà. 
La consapevolezza di queste realtà, la condivisione di queste esigenze, mi sono apparse largamente condivise a mano a mano che sviluppavo, da Presidente italiano, visite e incontri che hanno abbracciato l'Asia - dal Giappone e dalla Corea del Sud alla Cina - la Russia, la Turchia, l'Europa, il Medio Oriente e l'Africa del Nord, le nuove leadership latinoamericane e molti altri interlocutori.

Non voglio dare, sia chiaro, una versione troppo semplificata in senso ottimistico delle suggestioni ricavate dalla mia esperienza degli anni di grande cambiamento (anche attraverso bruschi imprevisti) che hanno coinciso col tempo del mio mandato. Sarebbe ingenuo, innanzitutto, non cogliere una differenziazione cospicua di interessi e di ambizioni che si accompagna al riconoscimento condiviso di una somma di sfide comuni e di responsabilità globali. Si sono inoltre dimostrate complesse e mutevoli le vicende interne di paesi o di aree cruciali.
Le aperture in materia di diritti e di dialettica politica democratica che avevo colto in Russia, nel suo vertice di allora, nel 2008, hanno conosciuto un rallentamento, mentre nell'arena internazionale si sono manifestati ancora, da parte russa, sintomi di sospetto e di arroccamento, malgrado le ripetute rassicurazioni. Problematico resta il percorso della Cina verso un esercizio del potere più articolato e più sensibile alla tematica dei diritti umani. Il rinnovamento politico che avevo potuto salutare a Tokio nel 2009 si è ben presto bloccato. L'Asia è divenuta teatro di straordinari balzi in avanti sul terreno dello sviluppo economico e sociale, ma anche di pericolose tensioni tra i suoi maggiori Stati nazionali.
E' nel Medio Oriente e in Africa del Nord che il "risveglio politico globale" (Brzezinksi) si è manifestato con maggiore forza, ma con esiti e sviluppi assai diversi. Comune a diverse realtà del mondo arabo è stata una mobilitazione popolare volta ad abbattere autocrazie da lungo tempo radicatesi al potere, anche se qualcuna, come quella egiziana, aveva svolto ruoli costruttivi nel campo delle relazioni internazionali. Ma le istanze di libertà e insieme di giustizia sociale rispetto a regimi polizieschi e a potenti e corrotte oligarchie si erano fatte irrefrenabili.
In Siria una leadership, che era apparsa qualche anno fa sensibile all'esigenza di affrancarsi da pesanti tutele esterne e di avvicinarsi all'Europa, e che aveva, nel solco di una tradizione politica laica, garantito rispetto del pluralismo religioso, ha reagito nel modo più brutale, aggressivo e sanguinario alla contestazione popolare e ad ogni opposizione. Ma anche là dove le primavere arabe sono state coronate da un indubbio successo e hanno dato avvio a un processo di rinnovamento politico-istituzionale, sono seguiti caotici contraccolpi come al Cairo o momenti di difficoltà sulla via del consolidamento, difficoltà intrecciate col malessere sociale, come a Tunisi. E possiamo ben vedere come la situazione libica resti tutt'altro che stabilizzata.

Rispetto a questi fenomeni, a queste realtà in faticosa, non lineare e non breve transizione, ci siamo atteggiati, come istituzioni italiane, nel solco di una storica strategia condivisa di attenzione e impegno nel Mediterraneo e di amicizia verso il mondo arabo. E' questo un versante della nostra politica estera e della politica europea che non possiamo in alcun modo trascurare, ma dobbiamo curare ancor più nel quadro del nuovo ridisegnarsi degli equilibri globali. E la grande posta in giuoco, nel rapporto non solo col mondo arabo ma col più vasto mondo musulmano, è quella del superamento di radicali, devastanti contrapposizioni, dell'instaurazione di un clima di reciproco rispetto tra il mondo occidentale e il mondo musulmano, della individuazione di principi e valori comuni, del riconoscimento, in definitiva, del volto tollerante, pacifico e cooperativo dell'Islam come realtà di cui apprezzare e favorire l'affermazione.

Fa testo in questo senso ancora lo storico discorso pronunciato dal Presidente Obama nel giugno 2009 al Cairo. E fa testo anche per l'equilibrio con cui egli pose in quel contesto la questione del conflitto israelo-palestinese, in termini non acritici né verso gli uni né verso gli altri, sollecitando con forza una soluzione basata sulla convivenza tra due Stati nella pace e nella sicurezza. E' in questo approccio che si è riconosciuta e si riconosce l'Italia, il cui impegno ho ribadito negli ultimi anni a Gerusalemme, negli incontri con l'amico Presidente Peres, così come negli incontri con le autorità palestinesi, e ancora di recente ho riproposto a Roma celebrando il Giorno della Memoria, che ci vincola a operare contro ogni forma di antisemitismo e ogni ambiguità rispetto al diritto dello Stato di Israele all'esistenza e alla sicurezza, e insieme ci impegna a promuovere un'intesa di pace con i rappresentanti del popolo palestinese. Ecco ancora una componente significativa di quella politica estera condivisa che ho tenacemente auspicato e coltivato per l'Italia.

Ma torno ora al filo del discorso sulla tendenza generale che si può cogliere nel processo di trasformazione in atto, pur tra molte articolazioni e sfaccettature, sul piano mondiale. Tendenza a una nuova aggregazione e responsabilizzazione che coinvolga Stati ed aree, di peso crescente e di peso decrescente, ma nel loro insieme decisive per il nostro comune futuro e destino. La crisi scoppiata nel 2008 e non ancora superata, lo "sconvolgimento complessivo" che essa ha provocato nel corpo dell'economia globale, ha certamente avuto ripercussioni dissimili nei diversi continenti : negli Stati Uniti e in Europa cadute pesanti della produzione, del reddito e dell'occupazione, e solo riduzioni, più o meno sensibili, dell'elevato tasso di crescita nei paesi emergenti.
Ma è un fatto che la crisi, per la sua natura e portata, ha dato anche la prova di quanto sia divenuta profonda e stringente l'interdipendenza globale, la rete e l'intreccio dei rapporti, in ogni senso, tra tutte le economie del mondo, e come sia divenuto dunque ineludibile l'affrontare insieme condizionamenti e problemi di comune interesse. Basti citare un fatto emblematico. Il G7, che a partire dai tardi anni '70 raccoglieva i paesi più industrializzati - tra Nord America, Europa e Giappone - aveva già visto, pur includendo dal '94 la Russia, indebolirsi la sua rappresentatività e capacità di guida, ed era stato quindi indotto ad aprirsi informalmente ad altre partecipazioni. Ma è stato poi giuocoforza cedere spazio - a partire dal 2008 - al G20, elevato al livello di Capi di Stato e di governo, come nuova istanza di consultazione e decisione. Il coinvolgimento delle maggiori economie emergenti non solo dell'Asia, ma anche dell'America del Sud e in qualche modo dell'Africa (continente solcato da profonde diversità, ma non privo di realtà dinamiche), attribuiva potenzialmente al G20 un ruolo corrispondente al mutamento intervenuto negli equilibri di un mondo sempre più interdipendente.
Può essere troppo audace il parlare, come qualcuno ha fatto, di "alba di una nuova era di multilateralismo". Ma la prospettiva dovrebbe essere questa. Peraltro, anche se il G20 ha affrontato con successo la prova del rafforzamento delle istituzioni multilaterali partendo dall'allargamento e irrobustimento del Fondo Monetario Internazionale, molti altri traguardi appaiono ardui e il ritmo dei progressi lento o incerto : innanzitutto per quel che riguarda l'indispensabile concertazione di una nuova regolazione finanziaria globale.
E sappiamo come anche in altri fori, compresi quelli che fanno capo alle Nazioni Unite, si proceda a fatica verso risposte soddisfacenti a sfide di innegabile portata globale. Da quella di scelte atte a fronteggiare i cambiamenti climatici e garantire la sostenibilità ambientale, a quella di un pieno adeguamento delle regole del commercio mondiale.

Avvicinandomi ora ad alcune conclusioni che mi preme trarre da una perlustrazione forse troppo ampia e insieme sommaria, desidero sottolineare subito un primo, essenziale punto di riferimento. Nel mio riflettere e operare di questi anni sui temi della politica estera e di sicurezza italiana, ho cercato di cogliere la profondità delle trasformazioni intervenute nel quadro mondiale ma non ho mai ceduto alla suggestione, foss'anche solo dottrinaria, di un fatale declino dell'America e dell'Occidente. Ovvero, non solo di un'inevitabile riduzione del loro peso, ma di un fatale decadimento del loro apporto allo sviluppo della civiltà mondiale.

Restiamo indissolubilmente legati da ogni punto di vista all'amicizia e alleanza con gli Stati Uniti. Vediamo la gravità dei problemi con cui essi sono chiamati a fare i conti, ma abbiamo egualmente piena consapevolezza dei loro punti di forza. Non solo la loro ancora senza eguali potenza militare, ma il loro formidabile potenziale scientifico e tecnologico, la loro apertura all'innovazione e la loro predisposizione al futuro, le loro risorse di produttività e competitività, la loro capacità di recupero e di "nuovo inizio" anche in risposta alla crisi attuale, il loro vitale dinamismo demografico.

Come italiani e come europei, siamo soprattutto legati a un patrimonio storico comune, traducibile in un bagaglio inconfondibile di idealità, di principi e di valori, che ci fanno identificare, a fianco dell'America, con l'Occidente come luogo della democrazia e dei diritti umani. E' questa visione, è questa esperienza che dobbiamo e possiamo far valere nel concorrere al governo della globalizzazione, influenzando i lineamenti del suo corso futuro.
Come ha scritto Charles Kupchan, "Se l'Occidente vuole contribuire a guidare la transizione verso il multipolarismo, esso deve portarsi al livello dell'occasione che gli si presenta su due fronti. Dovrà rifondare la sua vitalità politica ed economica e rinsaldare la sua coesione anche se l'era del suo primato si avvia a conclusione. E dovrà darsi una strategia e un quadro di principi che valgano a forgiare consenso tra l'Occidente e il resto del mondo in ascesa".
Perciò il punto d'arrivo non solo di questa mia conversazione ma del percorso politico e istituzionale che ho vissuto negli ultimi sette anni, dopo una ben più lunga traversata di "trials and errors", di tentativi ed errori, è la parte che ora tocca fare all'Europa nella prospettiva di un rinnovato ruolo dell'Occidente. E dicendo Europa, intendo Europa unita. I nostri amici americani ci guardano nutrendo insieme ben motivate aspettative e persistenti dubbi, non con disinteresse o pregiudiziale sfiducia. A Monaco, giorni fa, il Vice-Presidente americano Biden ha messo l'accento sull'importanza di un complessivo accordo transatlantico in materia di commercio e di investimenti. Egli ha più in generale ribadito : "L'Europa è la pietra angolare del nostro impegno verso il resto del mondo e l'elemento catalizzatore della nostra cooperazione globale".

Per quel che riguarda l'Italia, in una sessione di Joint Leadership Meeting del Congresso americano nel maggio 2010, ribadii nel modo più netto : "Non penso si possa seriamente affermare che le relazioni transatlantiche contino ormai sempre meno". Il posto che vi demmo sessant'anni fa nella nostra linea di politica estera e di sicurezza rimane fuori discussione. Ma come la stessa NATO si è venuta dando negli ultimi tempi nuove visioni e missioni, così noi italiani ed europei dobbiamo portare nuova linfa nelle relazioni transatlantiche, collocandole nello scenario globale di un mondo fattosi ben più complesso e variegato.
Ebbene in questo mondo - ecco la domanda che mi posi a Washington già nel 2010 - l'Europa, l'Unione Europea saprà porsi "all'altezza delle sue potenzialità e responsabilità?". E' una domanda che la crisi attuale dell'Unione, dell'Eurozona e più in generale del progetto europeo, non ci dà alcun alibi per eludere. Al contrario l'impegno a superare la crisi traendone tutte le lezioni deve corrispondere proprio all'esigenza di portarci, in quanto Europa unita, all'altezza delle nuove responsabilità.

Ciò comporta un'accresciuta volontà di procedere in tutte le direzioni individuate dalle istituzioni europee per rafforzare, completandola, l'Unione Economica e Monetaria e imprimerle una nuova capacità di promozione dello sviluppo economico e sociale dell'Europa. Ma non basta. E' indispensabile procedere sul serio verso l'Unione Politica. Può non comprendere questa necessità, e il concetto stesso di Unione Politica, chi veda come tratti costitutivi della costruzione europea solo il mercato interno, liberalizzato e concorrenziale, magari senza neppure arrivare alla moneta unica.

Ma quel che si è costruito, o teso a costruire, via via nel corso di sessant'anni in Europa è ben di più. E' una comunità di valori, è una comunità di diritto, è un soggetto politico unitario e democratico, pacifico e solidale, che intende introdurre valori di solidarietà e di giustizia sociale anche nel corso dell'economia di mercato. E' un soggetto politico che si fa protagonista della politica internazionale per affermare su quel terreno gli stessi valori e principi di diritto su cui l'Unione si fonda.

Solo sviluppandosi secondo questa concezione, l'Europa potrà fare la sua parte - come componente vitale della storia dell'Occidente - nel mondo di oggi e di domani, così mutato rispetto a quello del Novecento. Ed è qui il vero nodo del nostro dissenso con il primo ministro britannico. Non nel fatto che respingeremmo come "eresia" qualsiasi critica verso l'assetto istituzionale e il modo di operare dell'Unione. Ma nel fatto che non possiamo accettare una concezione mercantilistica dell'Europa unita.

E tuttavia, l'Europa potrà fare la sua parte, in sintonia con l'America, solo a due altre condizioni. La prima : non escludere di aprirsi ancora oltre gli attuali confini dell'Unione. Verso i Balcani, dopo che l'ingresso di Slovenia e Croazia ha costituito un decisivo fattore di pacificazione, rendendo possibile negli ultimi anni anche quella riconciliazione adriatica di cui l'Italia, anche per mio diretto impulso, si è fatta promotrice. E verso la Turchia, riconfermando sulla base di forti motivazioni - come ho fatto io stesso ad Ankara 3 anni fa - l'impegno a negoziarne l'ingresso nell'Unione.

E la seconda condizione è quella di non sfuggire, come Unione Europea e suoi singoli Stati membri, alle nostre responsabilità nel campo cruciale della sicurezza. Le minacce da fronteggiare sono molteplici. Il terrorismo, di matrice fondamentalista islamica ma anche di altre specifiche radici. Le tendenze, innanzitutto da parte dell'Iran, a un'ulteriore proliferazione nucleare. Le proiezioni destabilizzanti (fino alla pirateria) di quella singolare, inquietante specie che sono gli "Stati falliti". Il prodursi e riprodursi, in certi continenti, di conflitti etnici e guerre civili. La sicurezza globale, ma la stessa sicurezza europea, è messa alla prova anche in una regione africana che può apparire lontana, e non lo è, come il Sahel. 

La risposta a queste minacce - cui aggiungerei i rischi di un ritorno a nazionalismi anche di grande potenza - non può certo essere solo militare. L'approccio al tema della sicurezza dev'essere strategico e in tutti i sensi innanzitutto politico. Ma l'aspetto delle capacità militari in funzione, quando necessario, della messa in campo di personale e mezzi delle forze armate non può essere eluso e non può più essere delegato dagli europei agli Stati Uniti. Essenziale è che l'Europa - come affermai a Londra nel 2009 e a Washington nel 2010 - metta insieme le sue risorse e le sue strutture per la difesa e la sicurezza, elevando grazie a un'effettiva integrazione la produttività della sua spesa militare.

Concrete e positive prove della sua sensibilità a nuovi doveri nel campo della sicurezza, l'Italia le ha date, sia sul piano politico, proponendo decisamente ipotesi di seria integrazione europea nel campo della difesa, e anche programmi di riforma dello strumento militare nazionale, sia sul piano operativo con la sua partecipazione e un suo qualificato impegno in molteplici aree di crisi, sotto l'egida delle Nazioni Unite, dell'Unione Europa, della NATO. E assai ampio è stato il consenso che si è riusciti a costruire in proposito nel paese e nel Parlamento. A ciò ha indubbiamente contribuito un'istituzione di rinnovata vitalità ed efficacia come il Consiglio Supremo di Difesa, che il Capo dello Stato presiede per dettato costituzionale, pur nel rispetto dei poteri di decisione propri dell'Esecutivo”.

mercoledì 6 febbraio 2013

Le parigine presto potranno indossare i pantaloni senza autorizzazione

(fonte: Corriere della Sera), testo di Roberto Di Ferdinando

Le cittadine di Parigi tra qualche giorno potranno indossare i pantaloni liberamente e senza autorizzazione. Lo ha rivelato il ministro delle Pari Opportunità francese, Najat Vallaud-Belkacem. Sembra un pesce d’aprile in anticipo, ma, invece, è tutto vero. Infatti, a Parigi è ancora in vigore l’ordinanza del 17 novembre 1799 con la quale l’amministrazione comunale cittadina stabilì che le donne che avessero voluto indossare i pantaloni avrebbero dovuto fare una richiesta ufficiale per iscritto alla polizia. Tale curioso provvedimento fu introdotto durante la Rivoluzione Francese, infatti, i sanculotti, che indossavano i caratteristici pantaloni lunghi che li distinguevano dalla borghesia, che invece usava i culottes (i “mutandoni” al ginocchio), vollero così avere l’esclusiva su questo indumento distintivo, esclusiva anche nei confronti delle donne che inutilmente chiesero, per solidarietà ed uguaglianza, di indossarli. Da oggi, con un provvedimento ministeriale, tale ordinanza non avrà più valore. C’è da ricordare anche che fino agli anni Ottanta le parlamentari francesi avevo il divieto di indossare i pantaloni in Parlamento.
RDF

lunedì 4 febbraio 2013

Augurio di morte al ministro

(fonte: Sette-Corriere della Sera), testo di Roberto Di Ferdinando

Adel Fakieh, ministro del Lavoro dell’Arabia Saudita è stato pubblicamente attaccato, con un augurio di morte per cancro, dalle autorità religiose saudite. “Colpa” di Fakieh, quella di aver varato un piano per favorire l’occupazione femminile nel paese. Infatti, l’Arabia Saudita registra una disoccupazione vicina al 10%, ma quella femminile è all’80%. Questo dato è dovuto anche alle resistenze religiose che si oppongono a qualsiasi apertura  del mondo del lavoro alle donne. Fakieh ha sostituito al dicastero del Lavoro, Ghazi al-Gosaibi, deceduto nel 2010 proprio a causa di un cancro. Anche al-Gosaibi si era impegnato per rendere meno dure le restrizioni di accesso al mondo del lavoro per le donne.
RDF

sabato 2 febbraio 2013

La corrispondenza di La Pira con l’America Latina


(fonte: Avvenire, Quotidiano Nazionale), a cura di Roberto Di Ferdinando

La casa editrice Polistampa nelle settimane scorse ha pubblicato un libro sulle lettere, appunti e discorsi conservati dall’archivio della Fondazione La Pira (nel 2009 era già uscito, sempre per Polistampa, un volume sulla classificazione di 45 mila documenti riguardanti l’ex sindaco di Firenze). Il volume (http://www.polistampa.com) a cura di Samuela Cupello e Beatrice Armandi, riporta alcune lettere e telegrammi che Giorgio La Pira scrisse tra il 1938 al 1977, tra questi alcuni molto importanti da un punto di vista storico e politico, ed esempio, 14 settembre 1973, così La Pira telegrafa a Pinochet che da alcuni giorni si era insediato al governo del Cile con un golpe: “Ricordi divina ammonitrice Parola. Qui Gladio ferit gladio perit. LaPira”, ed ancora il 26 settembre: “Mediti giudizio di Dio leggendo SanMatteo Venticinque. La Pira”. Nel maggio del ’74 scrive al Colonnello José Castro perché vengano rispettati i diritti dei prigionieri politici rinchiusi nelle carceri cilene: “Giudicate come dice Evangelo Conceda grazia”, il telegramma fu rispedito al mittente. La Pira ebbe molto a cuore la causa cilena già molti anni prima, infatti negli anni Sessanta, quando giunse alla presidenza del Cile il democristiano Eduardo Frei, La Pira lo definì così, in un telegramma a Bob Kennedy : ”Frei è la speranza storica dell’America Latina» (6 luglio 1965).
Quale presidente della Federazione mondiale delle città unite, La Pira pose il suo sguardo attento verso l’America Latina, luogo di nuove esperienze politiche e rivoluzionarie. Ecco quindi che l’8 settembre del 1970 scriveva a Fidel Castro “il cui ruolo vede decisivo anche per il Cile, invitandolo a interpretare Marx alla luce dell’Esodo in modo da costruire con i cristiani, e non senza, «un’età di giustizia e di promozione” (testo tratto da http://www.avvenire.it/ ).
I restanti telegrammi pubblicati sono dedicati allo scontro USA-URSS, al Medio Oriente, al Concilio ed a tanti altri temi di geopolitica.
RDF

Su Giorgio La Pira si veda anche: http://curiositadifirenze.blogspot.it/2011/07/la-pira-e-la-questione-della-pignone.html



lunedì 28 gennaio 2013

I privilegi dei generali italiani


(fonte: Il Mondo), testo di Roberto Di Ferdinando

In Italia per gli alti ufficiali esiste un privilegio: l’ausiliaria; cioè un’indennità speciale che è concessa gli ufficiali che lasciano il servizio purché non accettino altri incarichi. Fu introdotta ai tempi della Guerra Fredda per creare un riserva di alti ufficiali da richiamare in caso di conflitto. Nel 2008 l’indennità pesava sul bilancio della Difesa per circa 231 milioni di euro, invece, nel 2013 saranno 431 i milioni (74 in più che nel 2012), mentre il Ministero deve tagliare su mezzi ed equipaggiamenti. La riforma delle pensioni del Ministro Fornero ha previsto la cancellazione di questo privilegio, ma solo tra qualche anno, ecco quindi la corsa dei militari ad usufruire delle ultime ausiliarie. In Italia i generali e ammiragli sono uno ogni 381 soldati, in totale nel 2010 le Forze Armate erano 480, senza contare che oggi esistono anche 2.300 colonnelli che, prossimi alla pensione, molto probabilmente saranno a breve promossi generali, in tempo per usufruire dell’ausiliaria.
RDF

29 gennaio - Intervista a Olivier Roy: Dove va il Medio-Oriente oggi?

29 gennaio ore 18
Olivier Roy - Dove va il Medio-Oriente oggi?
Lo intervista Raffaele Palumbo

Martedì 29 gennaio ore 18 all'Institut français Firenze Olivier Roy, orientalista e politologo francese di fama internazionale, professore all'Istituto Universitario Europeo, terrà un incontro dal titolo Dove va il Medio-Oriente oggi? Ad intervistarlo sulla situazione attuale dell’area mediorientale, dopo i recenti rivolgimenti della cosiddetta “primavera araba”, sarà il giornalista Raffaele Palumbo.
“In Tunisia come in Egitto – anticipa Roy – gli islamici, giunti al potere attraverso le urne, vedono erodersi la loro popolarità e sono tentati dal ricorso a mezzi autoritari per mantenersi al potere; ma si scontrano con le difficoltà ereditate dalla primavera araba. In primo luogo poiché affrontano una nuova cultura politica che va al di là dei giovani contestatori della primavera araba (...). In secondo luogo gli perché sono obbligati a trovarsi degli alleati: non hanno né il controllo dell’esercito, né quello dell’area religiosa (...). Gli islamici sono dunque obbligati a negoziare. Siamo qui in una logica di potere assai classica: il gruppo politico dominante male accetta l’alternanza di potere e dunque tenta di mantenere il proprio con tutti i mezzi, ma non beneficia di una dinamica rivoluzionaria nella popolazione che gli permetterebbe di vincere attraverso la piazza. La natura di questa deriva autoritaria è dunque interessante da studiare, perché non ha niente del modello della « rivoluzione islamica » che si attribuisce ai Fratelli musulmani e a Nahda. Si tratta, al contrario, di una « contro-rivoluzione » conservatrice, e, paradossalmente, pro-occidentale.”
Olivier Roy è un orientalista e politologo francese, professore all'Istituto Universitario Europeo e titolare della Cattedra Mediterranea al Robert Schuman Centre for Advanced Studies dal settembre 2009.
In passato è stato direttore di ricerca al Centre national de la recherche scientifique (CNRS) francese e professore sia alla École des hautes études en sciences sociales (EHESS) che all'Institut d'Etudes Politiques de Paris (IEP). Dal 1984 è consulente al ministero degli Affari Esteri francese.
Ha scritto numerosi libri su Iran, Islam e politica asiatica, tra cui - tradotti in italiano - La santa ignoranza (Feltrinelli 2009), Islam alla sfida della laicità (Marsilio, 2008), L'impero assente. L'illusione americana e il dibattito strategico sul terrorismoIl suo libro (Carocci 2004), Global muslim. Le radici occidentali del nuovo Islam (Feltrinelli 2003). L' Echec de l'Islam politique (Il fallimento dell' Islam politico, 1992) è un libro di testo standard per gli studenti di Islamistica.

In francese con traduzione in italiano / Ingresso libero

DOVE: Institut français Firenze, piazza Ognissanti 2
Piazza Ognissanti 2 - 50123 Firenze
Info 055 2718801 firenze@institutfrancais.it
institutfrancais-firenze.com
facebook.com/institutfrancais.firenze

giovedì 24 gennaio 2013

Spirito Civico - Giornate toscane - Firenze 25-26-27-28 gennaio 2013

Spirito Civico
Giornate toscane 2013

Lezioni dalla Storia, per il futuro
La Toscana è terra di antiche tradizioni civiche: ed è la terra in cui, con l’Umanesimo
civile, sono rinati gli antichi ideali del repubblicanesimo. Dalla Toscana è
tornata a vivere, in forme nuove, l’idea classica di una “res publica”, di un bene comune,
alla cui cura sono chiamati a concorrere tutti i cittadini, portatori di diritti
ma anche, e non di meno, di doveri nei confronti della comunità.
Le “Giornate toscane dello spirito civico”, di cui qui presentiamo la prima edizione,
vogliono proporsi come un appuntamento periodico per riflettere intorno a
questo grande tema: il rapporto tra cultura civica e democrazia, tra la qualità della
democrazia e il contributo attivo che i cittadini possono dare alla vita collettiva;
e sulla stretta connessione che, oggi, nel nostro tempo, si crea tra il senso di una
comune appartenenza, la coesione sociale e la qualità stessa dello sviluppo economico
e civile.
“Spirito civico” vuole significare proprio questo: l’idea che i cittadini siano ispirati
da un senso vivo di appartenenza ad una comunità civica, mossi da una visione
di ciò che è possibile definire come “interesse generale”, ma impegnati anche a
discutere come un tale interesse sia diversamente interpretabile e praticabile. “Spirito
civico” vuole altresì significare l’idea che la difesa e l’affermazione dei diritti
e delle potenzialità umane di ciascun individuo devono essere strettamente legate
alla difesa e all’affermazione di analoghi diritti e doveri negli altri, in condizioni
di uguaglianza, di rispetto reciproco e di tolleranza. L’esercizio autentico della
propria libertà e autonomia non può essere perseguito contro gli altri, ma solo
insieme agli altri.
Nell’anno in cui si celebra il 500° anniversario della pubblicazione del Principe
di Machiavelli, non si poteva non partire dalla straordinaria lezione del grande
fiorentino; ma vogliamo andare oltre, riflettere sulle connessioni tra cultura civica,
istituzioni e sviluppo, di fronte alla crisi globale che stiamo attraversando.
Assessore al Bilancio, rapporti istituzionali
e promozione dei diritti umani

Firenze
25-26-27-28 gennaio 2013
Cinema Teatro Odeon
Auditorium di S. Apollonia
Palazzo Strozzi Sacrati
Aula Magna del Rettorato
dell’Università di Firenze

Venerdì 25 gennaio
Cinema Teatro Odeon - Piazza Strozzi

Ore 17.00
Saluti dell’Assessore al Bilancio,
rapporti istituzionali e promozione dei diritti umani
Introduce
Massimo Orlandi
Giornalista, Regione Toscana

Ore 17.15
Maurizio Viroli
Università di Princeton
Il bene della Repubblica e i doveri del cittadino

Ore 18.15
Concerto di musica
da camera della Scuola di Musica di Fiesole

Sabato 26 gennaio
Auditorium di S. Apollonia
Via San Gallo 25

Ore 10.00
Religione Civile,
Democrazia e Populismo.
A proposito di Machiavelli e Savonarola…
Conversazione tra Michele Ciliberto Scuola Normale di Pisa, Presidente dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento e
Adriano Prosperi Scuola Normale di Pisa, Modera Susanna Cressati Giornalista, Regione Toscana
Letture in tema: Alberto Severi

Domenica 27 gennaio
Palazzo Strozzi Sacrati
Piazza Duomo 10
Sala Pegaso

Ore 9.00
Visita guidata di Palazzo
Strozzi Sacrati*
Introduce
Chiara Bini
Giornalista, Regione Toscana

Ore 10.45
Franco Cardini
SUM Italia
Spirito civico e bene comune. Note medievistiche e non solo

Ore 12.00
Concerto di musica da camera della Scuola di Musica di Fiesole
Aula Magna del Rettorato dell’Università di Firenze
Piazza San Marco
* visita riservata con prenotazione obbligatoria entro il 23 gennaio scrivendo a: spirito.civico@regione.toscana.it

Lunedì 28 gennaio
Aula Magna del Rettorato dell’Università di Firenze
Piazza San Marco

Ore 16.00
Cultura Civica, Istituzioni e Politica in Italia A vent’anni dalla pubblicazione de “La tradizione civica nelle
regioni italiane”
di Robert D. Putnam
Partecipano:
Carlo Trigilia
Università di Firenze
Roberto Cartocci
Università di Bologna
Giuseppe De Rita
Presidente del Censis
Loredana Sciolla
Università di Torino
Modera
Antonio Floridia
Regione Toscana

Segreteria organizzativa:
Tel. 055 438-4756/4907/4844
spirito.civico@regione.toscana.it
www.regione.toscana.it

martedì 22 gennaio 2013

Incontri Transafrica 2013 - ciclo d’incontri sull’Africa, sulla sua attualità e la sua cultura

Incontri Transafrica 2013 - ciclo d’incontri sull’Africa, sulla sua attualità e la sua cultura
Biblioteca delle Oblate: via dell'Oriuolo 26 50122 Firenze tel 055 261 6512 fax 055 261 6519

Nel 2012, la guerra scoppiata in Mali nei luoghi dove negli anni passati l'Associazione Transafrica è stata impegnata in numerosi progetti di cooperazione, non ha permesso di portare avanti tali attività. L'Associazione, tuttavia, è stata coinvolta in un progetto di cooperazione con partner di altri stati africani. Nel vicino Niger amici tuareg hanno convinto l'Associazione a collaborare con loro su progetti del tutto simili a quelli realizzati non molto lontano da lì con la popolazione del Mali.

Gli incontri, ad ingresso libero fino ad esaurimento dei posti disponibili, si svolgono nella Sala Conferenze (piano terra).


Sala delle Conferenze – piano terra
Durante gli incontri dello scorso anno ci auguravamo che l’esplosione di violenza che si profilava in
Mali non avvenisse. Ma purtroppo, puntualmente, la guerra è scoppiata e proprio nei luoghi dove
l'associazione realizza progetti di cooperazione E dunque il 2012 ha visto la nostra associazione
impegnata in progetti realizzati in luoghi diversi da quelli a noi cari del Nord del Mali. Lì la guerra ha
scacciato nomadi e sedentari, tuareg e songhai, peul e bambara, e inevitabilmente gli europei amici o
nemici che fossero. Il nomadismo forzato ci ha fatto cooperare con amici di altri stati africani. Nel
vicino Niger amici tuareg ci hanno convinto a collaborare con loro su progetti del tutto simili a quelli
realizzati non molto lontano da lì con i loro fratelli maliani. Un progetto con musicisti etiopi ci ha
ricordato di quanto sia bello questo paese, di quanto ci sarebbe da vissitare e per noi italiani di quanto
ci sarebbe da non dimenticare.

Venerdì 18 gennaio 2013 - ore 18.00/19.30
MALI: un anno dopo la rivolta tuareg.
Dal gennaio 2012 il Mali ha visto una nuova rivolta tuareg, la dichiarazione
d’indipendenza dell’Azawad, il golpe militare a Bamako, gli islamisti prendere il
controllo del nord del paese. All’orizzonte si profila un intervento militare esterno.
E c’è anche un punto di vista berbero
Vermondo Brugnatelli – Professore Associato dell’Università di Milano Bicocca e
Presidente dell’Associazione Culturale Berbera
Francesco Strazzari – Professore Associato alla Scuola Superiore Sant’Anna di
Pisa

Venerdì 15 febbraio 2013 - ore 18.00/19.30
DANCALIA: …dove lava e sale combattono da milioni di anni un’aspra battaglia…
Andrea Semplici – giornalista e fotografo.
Dancalia: camminando sul fondo di un mare scomparso. Terre di mezzo editore

Venerdì 15 marzo 2012 - ore 17.30/19.30
ERODOTO 108: viaggiare in Africa e non solo.
Una rivista quadrimestrale on-line. [ … perché il viaggio non si riferisce
contestualmente solo a luoghi lontani ed esotici, ma è ambientato anche nei nostri
quartieri, nelle nostre città e soprattutto nei nostri cuori… ]
Raccontano i redattori della rivista Marco Turini e Emiliano Rolle
Presentazione del progetto di documentario Punishment Island di Laura Cini

Venerdì 19 aprile 2012 - dalle ore 21,00 – 23,00
DAL NIGER ALL’ITALIA
In collaborazione con l’Associazione Mondo Tuareg di Pordenone Haddou racconta
la propria esperienza d’immigrazione dal deserto di Agadez alle fabbriche di
Pordenone. Nel corso della serata proiezione del film documentario “Solo andata:
il viaggio di un tuareg“di Fabio Caramaschi – 2010 – durata 52 minuti

(testo tratto da: http://newsletter.comune.fi.it/hcm/hcm24399-0-Incontri%20Transafrica%202013.html?)

lunedì 21 gennaio 2013

Notizie di golpe in Eritrea

A cura di Francesco Della Lunga

Sono di poche ore fa le notizie relative ad un colpo di stato in Eritrea, riportate da alcune agenzie internazionali fra cui ADN Kronos, ANSA e "La Voce della Russia". Secondo queste notizie, un gruppo di circa duecento militari, dotati anche di due carri armati, avrebbero occupato la sede della televisione di Stato e bloccato l'aeroporto di Asmara. Secondo l'ANSA, notizia di poco fa, l'esercito eritreo avrebbe preso il controllo del Ministero dell'Informazione. I militari ribelli avrebbero richiesto il rilascio di circa 5000 prigionieri politici, secondo le stime ONU. La situazione politica nel paese del Corno d'Africa è ancora oggi assai complicata. Il presidente eritreo, Isaias Afewerki, solo pochi mesi fa era stato dato in fin di vita (si vedano anche le notizie riportate sul nostro blog) ed il presidente stesso aveva provveduto a smentire la notizia con apparizioni in tv. Il paese vive ancora oggi una sorta di stato di guerra permanente, dovuto alle continue tensioni con il paese confinante, l'Etiopia. Le relazioni fra Asmara ed Addis Abeba sono ancora lontane dalla normalizzazione nonostante l'ultimo conflitto sia stato sancito da un accordo di pace, ancora oggi contestato, siglato nel 2000. Le tensioni fra i due paesi riguardano essenzialmente le frontiere ma in realtà vi sono ragioni più profonde che hanno dato origine ai continui conflitti che coinvolgono i due stati e che affondano nell'indipendenza eritrea. Le relazioni fra Asmara la comunità internazionale sono anch'esse ridotte al lumicino e solo alcuni stati come ad esempio lo Yemen ed alcuni emirati del golfo Persico continuano ad avere rapporti con Asmara. Il paese è di fatto in una sorta di isolamento internazionale.

La Francia torna in guerra


Testo di Roberto Di Ferdinando

Ci risiamo, a neanche due anni dalla decisione dell’allora presidente francese, Sarkozy, di mettersi a capo di una coalizione occidentale contro il regime libico di Gheddafi e difendere (e sostenere) i ribelli antigovernativi, adesso il suo successore, il socialista Hollande, ha deciso la partecipazione francese ad un altro conflitto. Sempre in Africa, questa volta nel Mali, paese che non a caso confina con la Libia (paese nel caos post rivoluzione). La Francia è intervenuta pesantemente con uomini e mezzi aerei nel conflitto interno che da quasi un anno sta coinvolgendo il Mali. In seguito ad un colpo di stato militare nel marzo 2012, in Mali, che fino ad allora era esempio africano di democrazia, movimenti insurrezionali ed indipendentisti del Nord, appoggiati da gruppi qaedisti provenienti dalla vicina Libia, hanno iniziato a puntare sulla capitale Bamako. Il rischio che il Mali si trasformasse in nuovo Afghanistan, covo di terrosti, ha spinto la Francia (che nella regione ha però interessi storici ed economici) ad intervenite con l’appoggio politico degli USA e quello logistico inglese, dell’UE e perfino del governo dimissionario italiano (!). Alcune domande (molto simile a quelle che posi nella vicenda libica). Perché la Francia può usare in maniera così disinvolta la sua forza militare all’estero ed in questioni interni ad un paese sovrano? Hollande, come lo fu Sarkozy, in netto calo di consenso attacca, usa la guerra per spostare l’attenzione dei francesi fuori dal paese e trovare unità interna (una guerra, anche la più strampalata e ingiusta, ha il potere di unire una nazione)? Ma non era la Francia stessa il paese che si oppose all’intervento USA in Iraq ed Afghanistan ritenendolo inopportuno e contro le regole internazionali dell’uso della forza (da quale pulpito)? Ma perché la Francia interviene pesantemente con le proprie forze armate in Libia e in Mali, ma non in Siria…..? Le atrocità di Gheddafi contro i ribelli libici perché sono diversi da quelli di Assad contro il suo popolo? Infine, dove sono i pacifisti (di parte)? Perché non manifestano contro la guerra in Mali? Forse un socialista può fare una guerra (forse la Francia può usare la sua forza militare come meglio crede)?
RDF

martedì 15 gennaio 2013

2050 la fine dell'umanità. Il mondo ai robot.

A cura di Francesco Della Lunga

Nel 2050 la crescita della popolazione mondiale, arrivata al culmine, inizierà inevitabilmente a decrescere. Da quel momento il mondo dovrà vivere con una popolazione sempre più vecchia, con minori nascite, in un luogo in cui i robot la faranno da padrona. Pare un film di fantascienza, ma questa prospettiva sta coinvolgendo diversi demografi e studiosi ed è stata recentemente spiegata in un articolo apparso sul Sole 24 Ore dello scorso 13 gennaio, a firma di Kevin Kelly. La crescita della popolazione ed i suoi effetti sull’economia mondiale e, in ultima analisi sulla società contemporanea e futura, ha affascinato da secoli gli studiosi e gli economisti. Non importa qua tornare a riscoprire il pensiero di Malthus anche perché la sua prospettiva, assai catastrofica, non si è mai concretizzata. Eppure aveva una sua logica. Anche la teoria esposta da Kelly pare affascinante. Egli afferma che tutti i modelli demografici, o quasi tutti, sono concordi nel rilevare una crescita della popolazione mondiale nei prossimi decenni, nonostante che nei paesi sviluppati la tendenza sia esattamente contraria. Nei paesi ad economie avanzate infatti, il tasso di sostituzione è negativo (ovvero il tasso che misura il rapporto fra le morti e le nascite) il che significa che le coppie adulte hanno mediamente un numero di figli minore a quello necessario per mantenere la stabilità della popolazione. In parole povere, se la coppia è composta da due persone, la semplice nascita di un unico figlio rende il tasso di sostituzione negativo ed è sulla base di questo assunto che, a grandi linee, si fonda l’osservazione proposta da Kelly per la crescita della popolazione nel prossimo secolo. Tutte le più grandi economie infatti stanno andando verso un tasso di sostituzione negativo. In Europa la tendenza è in atto da qualche decennio. Paesi come la Germania e l’Ucraina starebbero sperimentando un calo della popolazione a livello assoluto. Ma in generale in tutta l’Europa la situazione è identica. Popolazioni sempre più vecchie ed un tasso di sostituzione sempre più negativo. L’analisi empirica condotta su questi paesi lega indissolubilmente il tasso di crescita al sistema economico. Maggiore è il livello di sviluppo e di benessere, minore è la propensione a generare nuove nascite. Se la tendenza rimane invariata, i figli delle coppie che nascono in questi paesi, si comporteranno esattamente come i genitori e quindi si arriverà presto ad aver un numero di coppie che paradossalmente potrebbero non avere alcun figlio. Il Giappone, altra grande economia avanzata, ha una popolazione mediamente anziana. La Cina, che fino a pochi decenni fa contava famiglie numerose, oggi ha imposto il figlio unico. Attualmente, sempre secondo questo studio, i paesi in crescita demografica sarebbero ancora alcuni paesi in via di sviluppo, ma la tendenza alla diminuzione del numero dei figli ed all’invecchiamento della popolazione parrebbe già iniziata in alcuni paesi dell’Africa sub sahariana. In che mondo vivremo dunque, a partire dal 2050? Secondo Kelly appaiono esserci pochi dubbi: un mondo di anziani, con una popolazione mediamente concentrata alla generazione di servizi di assistenza ed un numero sterminato di robot che dovranno “sostituirsi” alle persone in carne ed ossa per assolvere a numerosi compiti lasciati “liberi” da coloro che avrebbero dovuto nascere. “I problemi di una popolazione umana in crescita sono reali, ma sappiamo che cosa fare; i problemi di una popolazione umana in calo indefinito in un mondo sviluppato fanno più paura perché non li abbiamo mai affrontati”. Kevin Kelly è autore di “Quello che vuole la tecnologia”, Codice, 2011.

19 gennaio 2013 - Seminario: "The dissolution of Soviet Union: two testimonies"

19 gennaio 2013
Seminario: "The dissolution of Soviet Union: two testimonies"
ore 9,30 - Aula Altana, Via Laura, 48 - Firenze

Organizzazione: Università di Firenze, Centro Universitario di Studi Strategici e Internazionali
Il seminario avrà luogo solo in inglese

Per saperne di più: http://www.unifi.it/upload/sub/notizie/agenda/Programma_seminario_dissolution_Urss19gen2013.pdf

Firenze, Venerdì 18 gennaio 2013, ore 15.00 - Lectio magistralis di Ignazio Visco

Le Facoltà di Economia, Giurisprudenza e Scienze Politiche “Cesare Alfieri”
sono liete di annunciare la Lectio magistralis di

IGNAZIO VISCO
Governatore della Banca d’Italia
Ruolo, responsabilità, azioni della Banca Centrale nella “lunga” crisi
Venerdì 18 gennaio 2013, ore 15.00
Aula Magna del Polo delle Scienze Sociali (Edificio D6)
Firenze, Via delle Pandette, 9

Indirizzi di saluto
Alberto Tesi
Rettore dell’Università di Firenze
Francesco Giunta
Preside della Facoltà di Economia
Paolo Cappellini
Preside della Facoltà di Giurisprudenza
Franca Alacevich
Preside della Facoltà di Scienze Politiche
“Cesare Alfieri”
Coordina
Alessandro Petretto
Ordinario di Scienza delle Finanze
Facoltà di Economia

lunedì 14 gennaio 2013

Lo slancio norvegese

(fonte: Corriere della Sera),  a cura di Roberto Di Ferdinando

La Norvegia non sembra proprio sentire la crisi economica che sta attraversando l’Europa. Anzi, il paese scandinavo sta conoscendo un periodo prospero (53.400 dollari pro capite, disoccupazione al 3,3%) in particolare per i conti (debito pubblico al 33,8%) e gli investimenti pubblici, grazie anche a nuovi progetti in ambito energetico. Infatti, la Norvegia ha rivelato di aver scoperto nuovi giacimenti di petrolio che portano le risorse estrattive a 5 miliardi di barili (attualmente sono estratti 2 milioni di barili al giorno) diventando l’ottavo esportatore mondiale di petrolio. Non solo, Oslo sta espandendo il suo interesse verso i giacimenti oltre confine. Tanto che nelle settimane passate il governo norvegese ha stipulato un contratto con quello islandese per il controllo del 25% di partecipazioni nelle licenze estrattive islandesi. I 40 miliardi di euro incassati dalla vendita all’estero del proprio petrolio hanno creato un surplus di bilancio(15% del PIL) regolarmente investito in un Fondo sovrano (654 miliardi di dollari, con investimenti anche nel mercato immobiliare europeo e in quello finanziario dell’est asiatico) destinato a politiche sociali prevalentemente  pensato per le future generazione e rigidamente regolamentato (non vi si può attingere più del 4%). Il dinamismo norvegese è segnalato anche dall’aumento progressivo dei movimenti di merci nei porti norvegesi, che, in seguito al ritiro dei ghiacci a  causa del riscaldamento planetario, diventano una nuova via dei traffici navali nel Mare del Nord.
RDF

mercoledì 9 gennaio 2013

Finanza e Corano

(fonte: Il Mondo), di Roberto Di Ferdinando

Un musulmano osservante in ambito di operazioni finanziarie e di borsa deve rispettare alcuni dettami del Corano seguendo anche le indicazioni degli Shari’ah Scholars, cioè gli interpreti del Corano in materia di finanza. Infatti, secondo le loro indicazioni un investitore musulmano potrà impiegare le proprie risorse monetarie in azioni di società ed attività che non vìolino gli insegnamenti del Corano: quindi nessun investimento in banche, assicurazioni, produttori di bevande alcoliche, di carne di maiale e di produzioni pornografiche. Invece, le attività in cui è consentito (halal) investire sono principalmente i produttori di auto e di tessili, e, se queste attività producono surplus, che è a sua volta investito in conti produttivi di interessi od imprestato ad interesse, allora il socio rispettoso della Sharia dovrà manifestare espressamente la propria disapprovazione secondo le regole previste. Inoltre, se gli introiti provengono da interessi, parte di questo guadagno deve essere donato in beneficienza. Infine la società non potrà avere degli asset non immediatamente liquidabili in quanto la Sharia non permette il semplice trading in valuta.
RDF

martedì 8 gennaio 2013

La Somalia è rinata. Il Ministro degli Esteri Somalo, Aden, in visita nel nostro paese

A cura di Francesco Della Lunga

La Somalia pare realmente sulla via della rinascita. Una rinascita a cui l’Italia, in ragione degli antichi legami, dovrebbe partecipare in maniera attiva. E’ quello che chiede il Ministro degli Esteri somalo, in visita in Italia in questi giorni, Fawsia Aden. La Aden è ministro di un recente governo, quello della pacificazione, nato in Somalia solo pochi mesi fa, con a capo Hassan Sheikh Mohamud. Le sue origini sono del Somaliland, e questo lascerebbe pensare che i somali siano realmente desiderosi di ricostituire lo Stato dissolto all’indomani della cacciata del vecchio dittatore somalo Siyad Barre. La Aden, in una intervista rilasciata a Repubblica, ripercorre brevemente gli ultimi mesi attraversati dal suo paese, non dimenticando di ringraziare la forza dell’Unione Africana che avrebbe contribuito, in maniera significativa, a sconfiggere gli Al Shabaab che resistono soltanto in alcune zone. Ed a giudicare da quello che si legge sui siti e sulla stampa internazionale pare davvero che la rinascita somala, come scritto anche recentemente nel nostro blog, sia in atto. Un rinascimento somalo che vede il ritorno di numerose famiglie in patria, soprattutto nella devastata Mogadiscio, intenti a ricostruire abitazioni e a riaprire attività commerciali. Molti paesi stanno approfittando della nuova e ritrovata pace nel paese dell’Africa orientale. La Cina in primis, ma anche gli altri paesi dell’area pare che non si siano lasciati cogliere di sorpresa. I paesi arabi del golfo, l’India, la Cina sarebbero già corsi di gran carriera a siglare accordi commerciali con il nuovo governo. Probabilmente non sarà proprio così, ma pare che non ci siano dubbi ormai sul fatto che la guerra per clan sia vicina alla definitiva conclusione e che il paese possa avviarsi finalmente verso la strada della pacificazione e della ricostruzione. Ricostruzione che necessiterà non solo di un clima politico stabile, ma anche e soprattutto di investimenti massicci che potranno arrivare solo dopo che il processo di ricostruzione istituzionale avrà raggiunto la soglia minima di solidità, soglia tale da garantire la sicurezza ai cittadini stranieri che vorranno arrivare. Il Ministro Aden ha chiesto comunque una partecipazione più concreta al nostro paese e questo è stato anche il senso dell’incontro avvenuto con il nostro Ministro degli Esteri Terzi. L’Italia in questo momento avrebbe siglato un accordo per la formazione del personale militare nel paese. Interventi che potrebbero essere fatti nel vicino stato di Gibuti. Il paese, dilaniato da una guerra che ha fatto a pezzi tutto quanto ed attraversato anche da recenti carestie (l’ultima nell’estate del 2011) ha bisogno di tutto. E per tutto si intende tutto quanto possa necessitare ad un popolo che ogni anno aggiorna le proprie statistiche record relative alla soglia di povertà. Ma la speranza è l’ultima a morire. Al Shabaab pare confinata in poche aree del paese ed i clan sembrano intenzionati a deporre definitivamente le armi. Il nostro paese può dare un contributo significativo alla ricostruzione, soprattutto in virtù del legame storico che tuttora rimane.