Libero Pensatoio Fiorentino di Politica
Internazionale
“Recinto come barriera fisica, naturale, come le montagne, i fiumi o gli steccati. Ma anche come barriera convenzionale, come una frontiera. Frontiere che sono lentamente sparite, superate dalla politica e dagli scambi economici. Da tante frontiere, ad un'unica frontiera, da tanti recinti ad un unico recinto, internazionale, che avvolge la nostra contemporaneità”
domenica 17 febbraio 2013
Gli italiani di Kerch
(fonte: Corriere della Sera), testo di Roberto Di Ferdinando
Nella sua rubrica “Lettere al Corriere”, Sergio Romano, sollecitato da un lettore, ricorda la comunità italiana di Kerch, nell’ex Unione Sovietica. Alla metà dell’Ottocento alcune centinaia di emigranti italiani, in particolare dalla Puglia, si stabilì a Kerch, città strategica in Ucraina, tra il Mar Nero e il Mar di Azov. Nei decenni successivi in città si venne così a creare una comunità di cittadini russi (sovietici) di origine italiana. Il 29 gennaio 1942, in piena guerra mondiale, Stalin ordinò una delle sue tante deportazioni di “nemici” interni, questa volta le vittime furono gli “italiani” di Kerch. All’alba di quel giorno fu ordinato loro di preparare un bagaglio a testa del peso massimo di 16 kg e furono imbarcati nella stiva di una nave e trasferiti prima a Novorosijsk e poi (il viaggio durò un mese e in pieno inverno) in alcune villaggi del Kazakistan. Le donne furono impiegate nei kolchoz (fattorie collettivizzate), invece gli uomini ai lavori forzati nelle miniere di Cheljabinsk. In quei primi mesi molti di loro morirono di freddo e di stenti. Solo dopo la fine della guerra alcuni decisero di rientrare a Kerch, altri rimasero in Kazakistan. La comunità “italiana” a Kerch ancora oggi sopravvive e chiede un riconoscimento ufficiale da parte dell’Italia.
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