martedì 29 novembre 2011

RI suggerisce "Gandhi, il risveglio degli umiliati". Autore Jacques Attali, Editore Fazi 2011. Commento di Francesco Della Lunga

Per quale ragione dovremmo tornare a leggere Gandhi e la sua azione politica e spirituale? Forse perché anche nell’era contemporanea potremmo avere bisogno di un Gandhi, o anche una piccola parte di quello che questo piccolo ma grandissimo uomo seppe fare. Ma forse anche perché il percorso del più famoso padre dell’indipendenza indiana fu commovente ed allo stesso tempo spettacolare. Per chi abbia interesse a conoscere le linee portanti del suo pensiero o rileggerlo in chiave più critica si possono suggerire due letture di base con due volumi di facile reperibilità sugli scaffali delle principali librerie. Il primo, un volumetto dell’Einaudi, dal titolo “Antiche come le montagne”, racchiude le principali massime e citazioni del suo pensiero. Il secondo invece, dal titolo “Gandhi, Il risveglio degli umiliati” ci permette di ripercorrere la vita, la lotta politica e spirituale di una delle personalità più illustri di tutto il Novecento ovvero del Mahatma Gandhi, colui i cui “pensieri, parole, azioni sono in totale armonia”.
Un invito a leggere ed a scoprire o riscoprire questa grandissima personalità la cui vita irripetibile si intreccia fra la sua personale ricerca della spiritualità vista come un percorso che ogni indiano (ma anche ogni essere umano) avrebbe dovuto fare, la ricerca della Verità come unico metodo per arrivare vicini a Dio, l’affermazione della consapevolezza come mezzo per gli umili per affermarsi in un mondo in cui la disparità sociale era stratificata. La Verità e le forme assolutamente originali con le quali Gandhi l’avrebbe espressa sarebbe stata poi la base ed il mezzo per il perseguimento di un grande obiettivo politico, l’Indipendenza, che l’India stava maturando e che avrebbe concretizzato proprio grazie all’azione politica di Gandhi. Preparazione spirituale prima, presa di coscienza dell’importanza della nazione indiana nella Storia e della sua ineluttabilità verso l’indipendenza, azione politica conseguente. Gli strumenti principali di questa azione, già sperimentata con un certo successo in Sudafrica, sarebbe sfociata nell’azione “non violenta” (o ahimsa) spinta fino alle estreme conseguenze, fino al ribaltamento della dicotomia non violenza/violenza ed al suo ribaltamento e quindi con l’affermazione della forza della non violenza rispetto alla violenza pura. La “non violenza”, a seconda della finalità, avrebbe potuto sprigionarsi con la ribellione alle decisioni dell’autorità inglese, i digiuni di massa, la non collaborazione, il boicottaggio delle merci occidentali. Sulle merci quali espressione del mondo occidentale Gandhi nutrì sempre una forma di rifiuto e diffidenza perché da un lato le riteneva lontane dalla cultura della popolazione indiana, dall’altro perché ritenute strumenti di un mondo che avrebbe condannato la nazione alla dipendenza dallo straniero.
Gandhi percepisce forse per primo fra i leader di fine Ottocento l’importanza della comunicazione politica, da qui la fondazione di giornali attraverso i quali far conoscere il proprio pensiero (ad esempio la testata denominata Harijan, figli di Dio, termine con il quale Gandhi chiamava i Dalit) , la potenza simbolica di concetti chiave come “ahimsa” o “nonviolenza”, oppure la resistenza passiva, lo sciopero della fame o satyagraha, il boicottaggio, ma anche un’azione sociale e politica che fece di lui una delle persone più affascinanti e di grande ascendente presso i circa 400 milioni di indiani del tempo.
Eppure, nonostante la Non Violenza e Verità, resistenza passiva e boicottaggio, digiuni e non collaborazione Gandhi non sarebbe riuscito a sconfiggere direttamente con la sua azione l’impero Britannico. Le cause dell’abbandono dell’India, come anche per le altre colonie inglesi sparse per il mondo, sarebbero state da attribuire in larga parte dallo sforzo condotto durante il secondo conflitto mondiale dal quale la Gran Bretagna, pur vittoriosa nella guerra, avrebbe dovuto abbandonare il suo ruolo di potenza mondiale nonostante l’ostinazione di Churchill che espresse il suo scetticismo verso la concessione di forme di indipendenza anche tenui e di cui si ricorda una celebre battuta con la quale sostenne di “non essere diventato Primo Ministro per mettere in liquidazione l’Impero Britannico”. Gandhi visse spesso questi insuccessi anche con frustrazione, comprendendo che gli indiani non erano, nonostante tutto, ancora pronti ad abbracciare la Non Violenza e la Verità. La Violenza, che Gandhi avrebbe combattuto fino alla fine e per colpa della quale sarebbe caduto, non sarebbe stata estirpata dalla sua azione politica. Ma anche il suo messaggio non sarebbe stato compreso a pieno dagli indiani. La sua lotta in favore degli intoccabili o a favore degli ultimi della terra, il suo desiderio di riunire, in continuità con il lascito dell’Impero Britannico Hindu e Musulmani, non sarebbe stato compreso. Gandhi morì nel 1948 dopo che la violenza religiosa ed interetnica aveva preso il sopravvento, già durante l’epilogo della Seconda Guerra Mondiale ed esplosa dopo l’abbandono dell’India da parte della Corona Britannica. Sarebbe morto per mano di un Musulmano (Nathuram Godse), comunità verso la quale Gandhi avrebbe espresso sempre il suo più totale ed incondizionato sostegno.
L’autore, dopo aver ripercorso efficacemente i punti principali della vicenda politica e spirituale del Mahatma, prova a tracciare un bilancio alla luce anche dello sviluppo che l’India ha avuto in questi anni. Intanto fa un sunto del suo pensiero affermando che “senza dubbio, l’aspetto più affascinante ed importante di Gandhi” riguardava il fatto che “per cambiare il mondo, bisogna cambiare se stessi ed avere come più alta ambizione, modesta ed orgogliosa al tempo stesso, quella di dominare la propria violenza, i propri desideri, la propria sessualità, i propri sentimenti, per liberarsi di qualsiasi traccia di bestialità; poi con l’aiuto delle pratiche ascetiche e di meditazione, ottenere un potere su di se rinunciando al potere sulle cose; infine, e solamente infine, mettere questo potere al servizio di un ideale di un’estrema esigenza, facendone dono agli altri”. “Gandhi sapeva, per esperienza, che ogni uomo, lui compreso, poteva diventare un bruto, un mostro, un assassino. Che ciascuno aveva ed ha dentro di sé allo stesso tempo una bestialità smisurata ed una formidabile capacità di amore. Dunque si riconosceva il diritto di predicare solo ciò che lui stesso riusciva a mettere in pratica. Mentre tutti gli altri leader rivoluzionari si accontentavano di elaborare dei piani per cambiare il mondo dalla propria scrivania, lui non voleva imporre un “uomo nuovo”, ma voleva diventarlo lui stesso e convincere poi con il suo sacrificio. Preferiva dare l’esempio piuttosto che lezioni”.
Al di là degli strumenti da lui inventati ed utilizzati per la sua battaglia politica (in larga parte assai attuali anche nella nostra epoca, soprattutto il boicottaggio, strumento utilizzato con frequenza, fra gli altri, dai movimenti antiglobalizzatori mentre altri funamboli della politica, come l’italiano Pannella, attuano spesso digiuni per protestare contro leggi ritenute inique), al di là del raggiungimento dell’Indipendenza indiana, al di là anche dei fallimenti che avrebbe patito, rimane un messaggio di speranza del quale, anche gli scettici, sentono il bisogno.

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