lunedì 29 agosto 2011

Storia - La difesa dell'Europa Occidentale dal Patto di Bruxelles allo spiegamento degli Euromissili

Testo di Francesco Della Lunga

Premessa
La difesa dell’Europa Occidentale è stata certamente una delle vicende fra le più complesse ed articolate che si sono dipanate nel più grande contesto del rapporto Est-Ovest, dalla fase più calda della guerra fredda che vide nascere, dopo l’enunciazione della dottrina Truman del “containment” i primi trattati multilaterali, dal Patto di Bruxelles al Patto Atlantico, fino al fallimento della CED nel 1954, arrivando alle fasi successive passando dalla “coesistenza pacifica competitiva” alla “grande distensione” lungo la quale le principali fasi scandite sono state indubbiamente la nascita dell’UEO e della NATO (1954-55), il tentativo francese di creare una “force de frappe” con il sostegno tedesco ed italiano, i principali accordi fra le superpotenze negli anni dal ’68 al ’74 con le pietre miliari del TNP (1968), SALT I e SALT II (’72 e ’74), la nascita della CSCE nel 1975 con la Dichiarazione finale di Helsinki, lungo i quali la questione diminuì in parte di importanza, fino ad un riesplodere nel periodo di “recrudescenza” della guerra fredda che culminò, all’inizio degli anni ’80, con il dispiegamento degli euromissili.
Un periodo molto complesso ed intriso di avvenimenti dunque. Tuttavia, per tentare di dare un’interpretazione ampia, che oltrepassi le schematiche categorie della guerra fredda, non è possibile analizzare questo periodo senza considerare, allo stesso tempo anche se su due piani separati, i rapporti Est-Ovest sullo sfondo ed i rapporti interni alle potenze europee dall’altra parte, almeno nelle dinamiche strettamente necessarie ad inquadrarne il fenomeno che qui interessa.
Se le dinamiche fra le due superpotenze (così identificate almeno dal 1962) influirono pesantemente sulla costruzione di un sistema di difesa europeo, essendo infatti integrato nel dispositivo di sicurezza più ampio approntato dagli Stati Uniti per bloccare l’espansione sovietica nel mondo e legandolo, lungo molti periodi, ad un comune destino, non c’è dubbio che, almeno in alcune fasi, soprattutto durante la “grande distensione”, collocabile immediatamente dopo la fine della crisi di Cuba, le ormai ex potenze europee poterono tentare di ritagliarsi un ruolo autonomo emancipandosi dalla protezione americana, con il tentativo sicuramente più ardito, quello di De Gaulle, di creare una “force de frappe” autonoma.
E’ possibile dunque affrontare la questione della difesa dell’Europa Occidentale analizzando il “periodo caldo” della guerra fredda (1947-1954) con la risposta americana ed europea alla crescente minaccia sovietica da un lato, e quello più grande, anche se forse meno contrassegnato da eventi eclatanti, se si esclude il tentativo francese, che può essere datato dalla fine della crisi cubana (1962) fino al 1975, Dal 1975 al 1980, periodo in cui riesplodono le tensioni, la difesa dell’Europa Occidentale culminerà con il fatto forse più spettacolare, cioè l’installazione degli euromissili.

Il “periodo caldo” della Guerra Fredda 1947 - 1954La nascita del Patto di Bruxelles che racchiuse le nazioni europee uscite vittoriose dalla guerra, nel 1947, e composto da Gran Bretagna, Francia e Benelux (Belgio, Olanda, Lussemburgo), voleva essere la risposta europea alla minaccia sovietica, sfociata nella “sovietizzazione” dei paesi dell’Est Europa, piombati, come efficacemente descritto da Churchill già nel 1945 a Fulton, Missouri, in una “cortina di ferro”.
Il Patto di Bruxelles seguiva la già enunciata “dottrina Truman” per la quale occorreva “contenere” l’avanzata sovietica in Europa, cristallizzandola nelle zone in cui l’armata rossa si era fermata alla fine della guerra.
E’ dunque possibile affermare che, in questo periodo, la prima timida costruzione di un dispositivo di difesa europea procedeva di pari passo con le esigenze statunitensi, tentando allo stesso tempo di favorire l’affermarsi delle linee portanti, ancora non condivise nella loro interezza. Infatti il Patto, voluto fortemente dalla Gran Bretagna laburista, doveva rappresentare il grimaldello necessario ai democratici statunitensi per indurre il Congresso ad abbattere i teoremi della “dottrina Monroe” ed incamminarsi, con decisione, verso la difesa degli interessi USA laddove venivano minacciati. L’Europa, in quel momento, era indubbiamente al vertice delle preoccupazioni americane che erano orientate verso la soluzione del problema della ricostruzione, avendo cura di seguire le linee tracciate dal “gran design” roosveltiano e bloccare le mosse sovietiche ritenute fortemente minacciose. Si trattava dunque di una strategia a tutto campo: affermazione dei principi economici del liberoscambismo nell’Europa liberata e difesa di quest’ultima dalle minacce sovietiche. Se la risoluzione Vandenbergh del 1947 permetteva il dispiegare degli strumenti della dottrina Truman in Europa culminati con il Piano Marshall, la difesa europea di cui il Patto di Bruxelles segnava la prima importante tappa, era ancora priva di efficacia. Infatti se da un lato gli USA, consci della minaccia sovietica incombente, avevano pienamente compreso la necessità di creare un sistema difensivo che includesse la Germania Ovest e l’Italia, ex potenze dell’asse sconfitte, necessarie però a “contenere” definitivamente e chiudere l’espansione sovietica, non era possibile affrontare ancora con decisione la questione per il comprensibile veto francese che riteneva inaccettabile, a distanza di soli due anni, la rinascita tedesca. Tuttavia l’Europa era troppo debole per immaginare un dispositivo autonomo di difesa ma le condivise preoccupazioni di sicurezza crebbero all’indomani della prima importante “crisi di Berlino” iniziata nel 1948, che rappresentava la risposta di Stalin al Piano Marshall e all’imminente firma del Patto Atlantico.
Se l’Europa non poteva fare da sola dunque, il Patto Atlantico rappresentava il primo forte segnale inviato dagli USA non solo a Stalin, ma anche agli alleati europei. La sua importanza era inoltre accresciuta dal fatto che, in tal modo, Gran Bretagna e Francia ottenevano forti rassicurazioni grazie all’impegno diretto americano; allo stesso tempo si cercava di smorzare le prime incomprensioni fra le due potenze europee ora protese alla ricerca della collaborazione, ora rivolte verso l’affermazione di istanze autonome. Il possesso, da parte USA della bomba atomica, dava nel frattempo un forte vantaggio agli Stati Uniti ed una certa sicurezza agli europei mentre sull’altro campo Stalin aveva già ordinato di colmare il gap.
La risposta di Stalin alla dottrina Truman, culminata con il già citato blocco di Berlino del 1948, risolto tuttavia efficacemente dagli americani con uno spettacolare ponte aereo che ne mise a nudo l’inefficacia, era tuttavia una forte fonte di preoccupazione per il presidente americano che già iniziava a ritenere necessario il riarmo tedesco. Si trattava dunque di trovare una risposta che fosse, al tempo stesso, efficace nei confronti non solo francesi ma anche dei tedeschi occidentali che si trovavano nella scomoda situazione di essere localizzati sul “fronte caldo” della “guerra fredda”.
Per di più, la necessità del riarmo tedesco si fece ancora più forte con lo scoppio della guerra di Corea (1950). Dal canto loro i francesi, consci della gravità della situazione e certi che la questione del riarmo tedesco sarebbe tornata di stringente attualità, decisero di anticipare le mosse statunitensi con la proposta del ministro francese Plevèn che presentò l’omonimo piano di organizzazione di una difesa comune europea. In breve, il piano prevedeva la costituzione di un nucleo armato interforze nell’ambito del quale era prevista la presenza di un contingente di forze tedesche senza che esse potessero svolgere un ruolo preponderante. La proposta francese apparve subito insufficiente sia alla Germania di Adenauer che non accettava il controllo francese sulle proprie forze armate, che dagli anglo-americani. Ma poiché le ripercussioni della guerra di Corea amplificavano i timori europei, soprattutto quelli tedeschi e statunitensi, occorreva dare una risposta efficace ai problemi emersi. La proposta di creazione di una Comunità Europea di Difesa (CED) seppure offrisse maggiori garanzie alla Germania ed essendo ritenuta una risposta efficace dagli Stati Uniti, conteneva in sé un’intrinseca debolezza, dovuta al mai sopito scetticismo francese.
E’ necessario, a questo punto, inquadrare meglio gli sviluppi della questione CED sia dal punto di vista statunitense che da quello europeo e soprattutto francese in quanto si sarebbero riscontrati sia dei successi formali (UEO e NATO) ma anche delle dinamiche che, a partire dalla crisi di Suez, avrebbero portato i francesi alla convinzione che non era possibile fidarsi del tutto dell’alleato USA e che sarebbe stato dunque necessario immaginare una difesa europea più autonoma fino alla costituzione di una “force de frappe”.

Il periodo del disimpegno americano – La Grande Distensione
Se infatti l’attenzione statunitense verso l’Europa passò da un primo inasprimento dei rapporti in seguito alla chiusura francese, efficacemente racchiuso nelle parole di Dulles che presagivano una “agonising reappraisal” o revisione angosciosa nell’atteggiamento americano verso il problema della difesa europea, fino ad un progressivo allentamento della tensione sul teatro europeo collegabili alla morte di Stalin (1953) ed il consolidamento del nuovo leader sovietico Krusciov (1956) che stava spostando su scenari esterni all’Europa il confronto bipolare, sia i francesi che la Gran Bretagna e la Germania iniziarono a percepire un certo distacco rispetto al problema della sicurezza europea che, fino ad allora, aveva contrassegnato i principali passaggi della guerra fredda.
Infatti, i segnali di un disimpegno iniziarono a percepirsi sin dalla fine del conflitto coreano che stava effettivamente chiudendo un periodo di forti contrasti in Europa. In entrambe le superpotenze infatti, il passaggio di consegne da Truman ad Eisenhower da un lato e da Stalin a Krusciov dall’altro, impresse un’accelerazione alle dinamiche bipolari che, dopo una fase contrassegnata da asperrime polemiche e crisi diplomatiche portarono alla fase della “grande distensione”.
Durante questi dieci anni infatti, se da un lato fu possibile osservare un certo assopimento del problema della difesa europea, sentito d’altra parte dagli europei come una sorta di abbandono, dall’altro lato le relazioni Est-Ovest iniziarono a prendere una dimensione globale lasciando sullo sfondo il problema di Berlino.
La bocciatura della CED con il voto negativo dell’Assemblea Nazionale francese, nel 1954, non aveva scalfito in maniera pesante la fiducia degli alleati che sentivano comunque l’esigenza di compiere un salto di qualità su una questione sempre più spinosa. Grazie all’attività del britannico Eden fu possibile, in pochi mesi, arrivare alla nascita dell’UEO (Unione Europea Occidentale) e alla costituzione del primo sistema integrato di difesa, la NATO (North Atlantic Treaty Organization), con l’ingresso, questa volta, di Germania Ovest e Italia. La risposta sovietica alla NATO, che rappresentava il dispositivo militare di un accordo politico, il Patto Atlantico, fu la creazione, immediatamente dopo, nel 1955, del Patto di Varsavia. La nascita della NATO comunque, pareva dimostrare che senza la garanzia statunitense non era possibile mettersi d’accordo. Ancora una volta, un meccanismo di difesa esclusivamente europeo, collegato agli Stati Uniti, non era stato possibile, bloccato com’era dai veti francesi mentre, paradossalmente, se ne sentiva sempre di più la necessità, soprattutto in ragione della percezione di quell’allontanamento che sarebbe stato percepito nella sua interezza, di lì a poco.
La nascita della NATO e della UEO da un lato e del Patto di Varsavia dall’altro, se bloccavano in maniera duratura le dinamiche fra i due blocchi sul continente, dell’altro lato acceleravano quel processo di ripensamento, già da lungo tempo iniziato, che avrebbe portato le ultime potenze europee, Francia e Gran Bretagna, a sentirsi definitivamente estromesse dai giochi mondiali ed a perdere la convinzione di essere ancora “grandi potenze”. L’amaro risveglio dalle illusioni di grandezza imperiale avvenne all’indomani della crisi di Suez (1956), ultima crisi di stampo eurocentrico, quando sia i francesi che gli inglesi, recuperato per un breve frangente l’antica alleanza, vennero lasciati soli da USA ed inaspettatamente anche dall’URSS quando, condannandone l’azione in sede ONU, costrinsero gli anglo-francesi a perdere il controllo del canale.
La crisi di Suez fece maturare, alle due potenze sconfitte nel loro prestigio, due considerazioni: da una parte il senso di ridimensionamento, dall’altro la percezione che gli USA si stesero staccando dal teatro europeo per affrontare, concentrandosi sugli scenari asiatici ed africani, le dinamiche impresse dalla coesistenza pacifica competitiva.
La crisi di Berlino del 1958-61 e la successiva crisi di Cuba nel 1962 contribuirono a rafforzare questa convinzione e furono certamente il preludio alla spaccatura francese in seno alla NATO ed il successivo tentativo di De Gaulle di creare la “force de frappe”.
Sia la crisi di Berlino che, in misura maggiore, quella di Cuba, diedero infatti agli europei la percezione del cambio di guida statunitense e della necessità di attrezzarsi anche con una forza maggiormente indipendente della garanzia USA, espressa attraverso la NATO. In particolare, De Gaulle in testa ma anche Adenauer, ebbero la sensazione che gli USA si affidassero ad una dottrina diversa nella difesa dei loro interessi a seconda del continente in cui questi fossero stati minacciati. Si parlò infatti di “massive retaliation” quando la minaccia era alle porte, come la crisi di Cuba stava a dimostrare, mentre i teatri più lontani, come quello europeo, potevano essere difesi con una “risposta flessibile” mettendo gli alleati in una scomoda posizione di inferiorità nei confronti della forza ipotizzata del Patto di Varsavia.
L’atteggiamento USA durante la crisi di Cuba generò infatti due ordini di considerazioni: innanzi tutto la semplice informazione in luogo della consultazione accrebbe per gli europei il senso di distacco; secondariamente il ritiro dei missili Jupiter e Thor dall’Italia e dalla Turchia in cambio della rinuncia sovietica di installare i missili a Cuba venne interpretata come la conferma dei peggiori timori e cioè di non essere in grado di rispondere ad un attacco sovietico sul territorio europeo affidando agli USA la sola risposta flessibile che, comunque, sarebbe giunta in ritardo.
L’idea che una parte di territorio europeo fosse sguarnita dell’ombrello missilistico statunitense fece tornare sotto i riflettori il mai sopito dibattito sulla difesa europea, coinvolgendo a pieno titolo il ruolo della NATO nel tentativo di trovare una soluzione alla minaccia sovietica che, ancora una volta si era manifestata a Berlino e che era culminata in un nuovo atto di sfida con la costruzione del muro che separava in due la città, facendo sentire le ripercussioni negative non solo in Germania ma anche nel resto d’Europa con la sensazione che i due mondi fossero in una situazione di incomunicabilità.
Nonostante che quest’ultima affermazione fosse priva di fondamento dal momento che né Krusciov e tanto meno Kennedy avrebbero spinto le tensioni fino all’”inevitabilità del conflitto”, le preoccupazioni di Adenauer e di De Gaulle spinsero i due alleati riottosi a superare le vecchie divisioni con un significativo riavvicinamento, isolando la Gran Bretagna che rimaneva saldamente ancorata al principio della “special relationship” e avvicinandosi, con la dovuta cautela, all’URSS. L’artefice di questo cambio di direzione fu indubbiamente De Gaulle che comprese la necessità di riannodare i rapporti non solo con la Germania Ovest ma anche con l’URSS con il duplice tentativo di creare da un lato un dispositivo di difesa autonomo che vedesse il contributo tedesco ed italiano sfruttando le sinergie che la nascita dell’Euratom poteva fornire in chiave nucleare e dall’altro di imprimere all’integrazione europea una spinta decisiva, lasciando fuori dai giochi la Gran Bretagna vista quest’ultima come il “cavallo di Troia” in mano agli USA per bloccare la rinascita europea, secondo l’idea del presidente francese.
La rinata visibilità francese, oltre a generare una serie di azioni clamorose come la fuoriuscita dal dispositivo di difesa integrato della NATO, anche in risposta ad antichi dissapori maturati verso gli USA riguardo alla gestione francese della decolonizzazione (Algeria) ed il cui comando, come segno di attenzione americana verso il difficile alleato era stato spostato a Parigi non andò comunque al di là di una certa spettacolarità dal momento che De Gaulle non sarebbe mai uscito dal Patto Atlantico. Tuttavia, il nuovo protagonismo francese, oltre ad alimentare delle timide speranze sovietiche nel vedere in difficoltà il nemico statunitense nell’ambito del proprio campo, raffreddarono anche l’iniziale slancio tedesco e chiusero definitivamente la porta in faccia alla Gran Bretagna, nel suo tentativo di entrare nella Comunità Europea.
Alcune correnti storiografiche hanno attribuito possibili le iniziative di De Gaulle in virtù del mutato contesto internazionale. E’ probabilmente vero che il teatro europeo, nell’ambito del confronto Est-Ovest, si era in parte stabilizzato, rendendo possibile la ripresa di una politica estera più indipendente rispetto al passato da parte degli stati europei occidentali, come mostrato dalle mutazioni in atto all’interno di alcuni di essi, come l’Italia, che avevano portato ad esempio all’apertura a sinistra mentre in Germania si ponevano le basi per quello che di lì a poco sarebbe culminato nell’Ostpolitik di Brandt ed è altrettanto vero che il tentativo gollista di rafforzare l’Europa occidentale non solo con la “force de frappe” ma anche rilanciandone l’integrazione, seppur non percepito tale dagli alleati, avrebbe poi costituito un passaggio fondamentale verso la ripresa della costruzione europea.
Nel frattempo, alla fine degli anni ’60 emergevano altri fattori che contribuivano a smorzare la tensione in Europa e a far diminuire nuovamente l’intensità del problema della difesa e dall’altro a generare i primi tentativi di dialogo fra l’Europa Bipolare, tentativi che culminarono con la Conferenza di Helsinki del 1975 e la creazione della CSCE.
Mentre gli europei, seguendo De Gaulle, inaugurarono i primi tentativi di apertura ad est che sarebbero sfociati nella Ostpolitik di Brandt alla fine degli anni ’60, le due superpotenze, consapevoli ormai dell’equilibrio raggiunto, soprattutto nel campo nucleare, inauguravano i primi trattati riguardanti il disarmo che rappresentavano forse la chiusura della grande competizione iniziata negli anni ’50 e sancivano, di fatto, la grande distensione. I più importanti passaggi di questa intensa attività diplomatica furono scanditi dal Trattato di non proliferazione siglato nel 1968 e i due trattati sulla limitazione delle armi strategiche, SALT I e SALT II, rispettivamente nel 1972 e 1974. In effetti, a cavallo degli anni ’70 la distensione aveva permesso non solo la perdita di importanza della difesa europea ma anche un primo tentativo di dialogo fra l’Europa dei due blocchi con la creazione di un importante forum di discussione sui problemi della sicurezza europea, la CSCE, nel 1975.
Questo evento era anche il risultato della già citata Ostpolitik con la quale il cancelliere tedesco Brandt apriva il dialogo con la Germania di Ulbricht che, di lì a poco, sarebbe stato sostituito con il più conciliante Honecker, a dimostrazione del mutato clima. La CSCE rappresentò, in prospettiva, forse il più importante evento figlio della distensione fra i due mondi anche se, a causa del suo limitato e simbolico effetto scaturito dai risultati del summit non ebbe forse il necessario riconoscimento da parte dei suoi stessi protagonisti.
Alcuni storici, a conferma dell’importanza della CSCE, ne attribuirono due importanti significati: da un lato l’importanza del tema dei diritti umani, molto caro al presidente USA Jimmy Carter, sarebbe stato un’importante grimaldello, usato intelligentemente da quest’ultimo, nell’amplificare le tensioni all’interno del mondo comunista con il successivo crollo; dall’altro sembrava un importante passo comune in vista della soluzione dell’ancora sentito problema della sicurezza europea.

La rinascita delle tensioni bipolari e l’installazione degli Euromissili
Fu proprio a partire da allora che, il problema della sicurezza visse una nuova stagione di attenzione, con la nascita di improvvise tensioni che portarono all’installazione degli euromissili in Europa.
Riguardo a quest’ultimo punto, non è ancora esattamente compresa la ragione della rinascita delle tensioni anche nel più ampio contesto del confronto Est-Ovest dopo oltre dieci anni di relativa tranquillità. Fra i fatti oggettivi spicca sicuramente la decisione sovietica di installare i nuovi missili SS20 e SS21 puntati verso l’Europa per bilanciare gli effetti dei trattati SALT che avrebbero avvantaggiato gli USA. La mossa sovietica, interpretata da alcuni storici in chiave difensiva, non venne percepita in tutta la sua reale portata soprattutto dalla Germania Ovest rimettendo in moto timori e tensioni con la decisione finale di Carter di dotare gli europei dei missili a medio raggio, i Pershing II ed i Cruise. L’installazione dei missili nei paesi dell’Europa Occidentale, anche se non eliminò del tutto il problema della sicurezza, contribuì temporaneamente a tranquillizzare gli alleati, anche se nuove tensioni erano all’orizzonte; d’altra parte è anche condivisa l’opinione per la quale un attacco sovietico non sarebbe stato possibile, in virtù del principio della “deterrenza”.

Conclusioni
Alla fine di questo lungo percorso è possibile affermare che il dibattito sulla difesa dell’Europa occidentale nel periodo del confronto bipolare, non può essere compreso inquadrandolo in un’ottica esclusivamente europea, essendo altresì necessario spiegarne le interazioni con le esigenze americane ed il confronto bipolare.
Il problema della difesa europea contrassegnò un periodo scandito da aspre crisi all’apparenza difficilmente risolvibili come le crisi di Berlino e di Cuba durante le quali conobbe i momenti più intensi che portarono alla creazione di un sistema di difesa imperniato sulla presenza USA in Europa con la NATO che proseguiva nella strada tracciata dal Patto di Bruxelles, come primo esperimento europeo, al Patto Atlantico con l’irrinunciabile presenza americana.
Il periodo contrassegnato dagli anni ’60, seguendo parallelamente le dinamiche fra le due superpotenze, vide da un lato diminuire l’intensità, almeno dal punto di vista delle esigenze americane mentre dall’altro rimase vivo e presente nella mente dei leader europei, primo fra tutti De Gaulle, che percepirono l’importanza di una difesa comune, anche svincolata dalla protezione USA, in risposta al suo presunto disimpegno.
Se il tentativo francese con venne compreso appieno in Europa reputandolo un metodo efficace per riaffermare la prevalenza francese sul continente, non è forse possibile considerarlo solo in termini riduttivi dal momento che l’esigenza di una difesa europea autonoma rientrava in una logica di “normalità” nel momento in cui la sfida bipolare sarebbe cessata. Ma forse era ancora troppo presto per ipotizzarne la fine, anche se la grande distensione aveva fatto maturare qualche timida speranza.
L’installazione degli euromissili infine, confermò il forte senso di insicurezza europeo che si era affermato in più occasioni; tuttavia rappresentava, almeno in prospettiva, un tentativo per gettare le basi di un sistema di difesa autonomo europeo senza immaginare che nel volgere di pochi anni anche gli euromissili sarebbero stati ricordati come un momento indubbiamente difficile per l’Europa.

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