mercoledì 29 giugno 2011

Il lento declino del secolo americano

“In un decennio abbiamo speso mille miliardi per la guerra, durante un periodo duro, di difficoltà economiche e debiti crescenti. Mettiamo un termine, responsabilmente, a queste guerre e riprendiamoci il Sogno americano. L’America è stata davvero forte quando è stata in grado di creare opportunità in patria per i suoi cittadini. Se c’è una nazione da ricostruire, questa è la nostra”. Barack Hussein Obama, discorso sull’Afghanistan, 24 giugno 2011.
Commento di Francesco Della Lunga

Gli Stati Uniti divennero una grande potenza mondiale con l’ingresso nella Prima Guerra Mondiale. Abbandonarono le attenzioni al loro “Giardino di Casa” (il continente americano, nord e sud) e, spinti da un lato dall’esigenza di riprendere i commerci messi a repentaglio dai sommergibili tedeschi che bloccavano i navigli durante la traversata atlantica ma anche di malavoglia, tenuto conto delle opinioni di Woodrow Wilson sull’azione diplomatica europea si gettarono nel più grande conflitto dell’era moderna (sulle opinioni di Wilson rimangono famosi i quattordici punti rubricati al termine del conflitto che racchiudevano il suo pensiero sull’ordine mondiale. Wilson contestava alcuni atteggiamenti tipici delle potenze europee del tempo, fra cui la prassi degli accordi segreti, vedi ad esempio il Patto di Londra, chiave dell’ingresso italiano nella Grande Guerra. Wilson si adoperò in modo da fare in modo che i trattati di pace raccogliessero nel modo più attinente possibile i precetti dei quattordici punti ed a causa dei quali, ad esempio, il nostro paese dovette negoziare duramente sui confini orientali). Ma ancora non erano la Grande Potenza perché le potenze europee, ancora in possesso dei loro Imperi, recitavano un ruolo fondamentale nell’ordine mondiale. Ma le prime crepe ai grandi imperi e disegni imperiali (di Francia e Gran Bretagna, possessori di imperi su cui non tramontava mai il sole ma anche di quelli più piccoli delle potenze arrivate da pochi decenni nel Concerto Europeo, Germania ed Italia) iniziavano ad intravedersi e si sarebbero poi delineate durante il periodo di pace fra le due guerre ed affermatisi definitivamente all’indomani della Seconda Guerra Mondiale. I conflitti irrisolti della Grande Guerra (la sconfitta della Germania ed il Trattato di Pace di Versailles con i trattati paralleli firmati nel 1919), la questione delle nazionalità e l’ascesa dei nazionalismi e dei fascismi gettarono nuovamente l’Europa nel secondo, devastante, conflitto mondiale. Gli USA intervennero nuovamente per aiutare le potenze libere (Francia e Gran Bretagna) e fu da allora che iniziarono a dominare il mondo, in coabitazione con l’URSS, contro la quale ingaggiarono una guerra a tutto campo che si manifestò con guerre convenzionali solo in aree geografiche strategiche ma lontane dai loro confini (Corea 1950, Vietnam fra i Sessanta ed i Settanta, più o meno direttamente in Afghanistan, 1980, in vari teatri africani, di nuovo nel giardino di casa, in Sudamerica per impedire l’attecchimento del Male, così come venne definito da Ronald Reagan il Comunismo in generale, quello sovietico in particolare), mentre assunse i toni di una grande guerra ideologica, politica, economica, sociale, storicamente conosciuta sotto il nome di Guerra Fredda che in definitiva si indirizzò verso l’annientamento dell’ideologia comunista di cui l’URSS era il principale artefice e propalatore nonché baluardo dell’ortodossia. Fu in nome di questa lotta, dell’affermarsi degli interessi americani nel mondo, nell’affermazione delle democrazie in paesi che si stavano lentamente liberando dai gioghi imperiali delle ormai ex potenze europee che Washington assurse a Grande Potenza Mondiale. Contemporaneamente le potenze europee diventarono ex potenze perché il loro mondo, dopo la quasi totale distruzione dell’Europa causata dalla guerra, era definitivamente crollato. Ma le potenze europee risultate vincitrici nella Seconda Guerra Mondiale con gli USA (Gran Bretagna e Francia), non si resero conto della perdita del loro potere fino ai fatti di Suez (1956). Alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso gli storici delle relazioni internazionali più autorevoli decretarono la fine dell’Eurocentrismo ed il passaggio del testimone da Gran Bretagna e Francia agli Stati Uniti. A questi ultimi venne lasciato il compito di riaffermare la cultura occidentale e soprattutto la sua espressione di potenza militare, economica, sociale. Nel frattempo gli USA garantirono la rinascita europea, non si opposero, anzi favorirono, la nascita della Comunità Europea in funzione antisovietica, si gettarono nello scontro clamoroso contro l’URSS che avrebbe visto vincitori gli USA solamente nel 1989. Molte cose erano accadute negli anni che sarebbero passati dal 1945 al crollo del Muro di Berlino. La “cortina di ferro” in Europa si sarebbe dissolta nel novembre 1989, il Patto di Varsavia crollato in pochi mesi, l’URSS sconfitta definitivamente e consegnata alla Storia come Stato Sovrano per lasciare lo spazio ad una mai consolidata Comunità degli Stati Indipendenti (le ex Repubbliche Sovietiche) e soprattutto ad una Russia che avrebbe attraversato una lunga transizione, ancora oggi non conclusasi. Gli USA sarebbero apparsi come gli unici vincitori di un conflitto epocale, caratterizzato da guerre in aree periferiche del mondo con l’obiettivo di contendersi la leadership mondiale, sempre in chiave di lotta USA contro URSS e viceversa. Così gli americani sarebbero diventati, nell’immaginario collettivo, il Grande Gendarme del mondo. Poi arrivò l’11 settembre, circa dodici anni dopo la vittoria della guerra contro il Comunismo. Il pericolo sarebbe arrivato da Oriente, da mondi che in passato erano stati contrapposti all’URSS e che ancora prima sarebbero stati vicini all’Occidente (Afghanistan, Pakistan, Iran, paesi comunque che avrebbero attraversato anch’essi la grande ondata della decolonizzazione negli anni Cinquanta del secolo scorso). Gli USA avrebbero ancora gettato tutto il loro peso militare per vendicare i morti delle Torri Gemelle. Ma qualcosa stava cambiando. L’amministrazione Clinton, sul finire del secolo scorso, fu la prima a percepire un certo cambiamento ma anche a constatare i danni prodotti dal terrorismo internazionale (gli attentati di Nairobi (1998), quello delle Torri Gemelle sul proprio territorio (1993), altri attentati come quello alla portaerei americana nel Golfo di Aden (2000), soltanto per citarne alcuni). Poi, dopo l’attacco di Al Quaeda alle Torri Gemelle, Bush Junior avrebbe ancora una volta spinto gli USA verso un nuovo conflitto, stavolta costruendo a tavolino una guerra contro l’Iraq, con la famosa “pistola fumante” scoperta dall’allora capo del Pentagono Powell che mostrava davanti ad una attonita Assemblea Generale delle Nazioni Unite, le prove della responsabilità irachene nella costruzione della bomba nucleare. Poi la continuazione della guerra in Afghanistan. Alla fine dei primi dieci anni del nuovo secolo sarebbe arrivato Obama. Che avrebbe dato uno scossone all’immagine USA, immagine che fino a pochi anni fa vedeva gli americani sempre più invisi ed odiati nel mondo. Una rivoluzione che si poteva avvisare in tutti i discorsi che hanno contraddistinto questo mandato alla Casa Bianca, a partire dai discorsi nell’africa ex francofona e quello del Cairo. Che in qualche modo era stata prevista. Oggi gli Stati Uniti appaiono stanchi, svuotati, non più desiderosi di andare a cacciarsi in nuove guerre in nome della democrazia e della superiorità della civiltà occidentale. Obama afferma, in un ennesimo discorso che entrerà nella Storia, che gli USA sono stati il paese più grande quando dovevano dare una speranza ai propri cittadini. Quando, insomma, la frontiera doveva essere raggiunta. Parrebbe quindi che gli americani stessero per accingersi a rientrare dentro i loro confini, con l’idea di scoprire nuove frontiere, nuovi orizzonti, nuovi confini per uscire o allargare i recinti delle loro irrinunciabili convinzioni. Quelle di fare, in qualche modo, la Storia. Che cosa accadrà se Washington dovesse tornare davvero a guardare il proprio “giardino di casa” lasciando perdere gli altri continenti se non quello asiatico dove la potenza cinese sta risvegliando la nuova frontiera statunitense? Il mondo dovrebbe riposizionarsi, ancora una volta, e trovare nuovi leader. L’Europa dovrebbe tornare ad occuparsi di se stessa e del proprio futuro, lasciato per delega agli americani negli ultimi sessant’anni. Per fare questo dovrebbe rafforzarsi, piuttosto che disgregarsi o condannarsi all’inazione come visto negli ultimi anni con una sostanziale immobilità politica oppure con la baldanzosa solitudine francese. Se il soldato americano tornerà definitivamente a casa, gli europei si sveglieranno dal loro dolce sonno, durato miracolosamente quasi sessant’anni. Solo così scopriremo se l’Europa diventerà una grande realtà oppure se sarà condannata alle tante realtà contraddistinte da ormai quasi indifendibili patrie. Il declino del secolo americano pare decisamente iniziato, ma sarà lungo e non sapremo quando effettivamente si manifesterà. L’Occidente per la prima volta dopo secoli, con l’Europa prima e gli USA nei decenni venturi, potrebbe perdere per sempre la sua supremazia.

Nessun commento: