venerdì 17 giugno 2011

Economia e Diritto

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Nel suo ultimo intervento da Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, prossimo presidente della BCE, ha evidenziato come il sistema Italia sia in difficoltà anche per la lentezza della giustizia civile che ostacolerebbe lo sviluppo dell’imprenditoria italiana. L’economia del Bel Paese si caratterizza per un’alta concentrazione di piccole e piccolissime aziende, e la loro difficoltà di crescere da un punto di vista di numeri, operai ed impianti, e di sopravvivere nel confronto con la concorrenza internazionale dipenderebbe dalla scarsa propensione della banche ad erogare finanziamenti e prestiti, perché, data la lentezza con cui si concludono le cause civili (secondo la Banca Mondiale l’Italia è al 157 posto, su 183, nella classifica sui tempi lunghi della giustizia), gli istituti di credito sono restii a concedere soldi senza super ed ultra garanzie. Alberto Alesiana e Francesco Giavazzi, dalle pagine del Corriere della Sera hanno cercato di individuare, citando vari studi e ricerche perché la giustizia italiana sia così lenta. Perché la spesa giudiziaria è bassa? Secondo i dati del 2008 lo Stato italiano spende 70 euro per abitante per far funzionare il sistema giudiziario, in Francia si spendono 58 euro per abitante, in Francia i giudici sono 9 ogni 100.000 abitanti, in Italia 10, in Italia per ogni giudice vi sono 4 dipendenti del tribunale, in Francia sono, invece 3. I giudici italiani hanno uno stipendio del 20% maggiore dei loro colleghi francesi, eppure in Francia un causa civile dura la metà che da noi. I due analisti sul Corriere, dati alla mano, hanno individuato alcune cause della lentezza della nostra giustizia. Prima di tutto in Italia vi sono troppi avvocati, sono 200.000 (332 ogni 100.000 abitanti), in Francia sono 48.000, 76 ogni 100.000 abitanti, in Italia, ogni giudice ci sono 32,4 avvocati, in Francia il rapporto è di 1 a 8,2. Alesiana e Giavazzi auspicano quindi l’introduzione del numero chiuso nelle facoltà italiane di giurisprudenza. Anche la modalità con cui sono strutturate le parcelle italiane è un incentivo a tenere aperte a lungo le cause, mentre sarebbe auspicabile che anche in Italia, come da anni, invece, fanno in Germania, che gli avvocati fossero remunerati a forfait (gli avvocati tedeschi guadagnano di più di quelli italiani), oppure fossero liberalizzate. Infine sarebbe opportuna una migliore organizzazione del lavoro dei giudici. Ad esempio, invece di iniziare e portare avanti tutte le cause insieme, sarebbe preferibile non aprirne nuove fino a quando alcune non siano chiuse (rinvio alla lettura dei recenti lavori scientifici di tre economisti: Decio Coviello, Andrea Ichino e Nicola Persico).
Infine una curiosità. Gli ostacoli ad intentare una causa spesso derivano dall’incapacità di prevedere i tempi in cui l’azione legale si completerà arrivando al giudizio. Non esiste infatti una previsione di conclusione della causa civile in Italia. Eppure, dati del Consiglio d’Europa, nel vecchio Continente esistono paesi in cui si possono fare previsioni, stime, più o meno precise, sulla durata di un processo. Questi paesi sono la Gran Bretagna, la Francia, la Finlandia, la Norvegia, la Lettonia e l’Albania. Qualcosa è previsto anche in Spagna. L’obbligo legale di comunicare i tempi precisi è previsto solo dalla legislazione giudiziaria del Nord Irlanda, mentre, nonostante non vi sia alcun obbligo, la giustizia inglese, scozzese e gallese danno, all’inizio di una causa civile, una previsione di durata.
RDF

Nessun commento: