martedì 3 maggio 2011

L’omicidio è sempre una violenza contro l’uomo e la vita. Non esiste una violenza giusta.

Lunedì 2 maggio arriva in Italia la notizia che Bin Laden, leader dei talebani e persona ritenuta responsabile dell’attentato alle torri gemelle dell’11 settembre 2001 è stato ucciso.
L’uccisione è avvenuta a seguito di una irruzione dei reparti speciali americani Navye Seals .
Riporto a seguito alcuni commenti di esponenti politici:
Berlusconi: "Un grande risultato nella lotta contro il male". Bersani: "Congratulazioni agli Usa"
George W. Bush: "Una vittoria per gli Usa". Cameron: "Grande passo nella lotta al terrore"
Obama: "Senza Bin Laden un mondo migliore""E' un grande giorno per l'America", ha aggiunto.
Prodi: "E' la fine di un incubo"
Questi sono solo alcuni dei commenti che ho letto in internet e sentito alla radio: felicitazioni.
Comprendo che Bin Laden fosse ormai diventato simbolo di tutto un “lato oscuro” di attentati e aggressioni verificatisi nel mondo- anche se mi ritrovo sempre a vivere una grande perplessità quando ad un unico uomo vengono attribuiti così grandi poteri rispetto a giochi politici più ampi- in molti avevano trovato opportuno identificare Bin Laden con il “male”, ma non riesco a comprendere come da tanta indignazione per i crimini a lui attribuiti non possa nascere una indignazione di pari intensità per l’uccisone – non la cattura- di un essere umano. Provo dolore nel leggere i commenti di personaggi politici così pronti a puntare il dito per le malvagità attribuite a Bin Laden perché trovo altrettanto malvagio rallegrarsi per una qualsiasi uccisione. Come è possibile? Siamo così identificati con il ruolo di “vittime aggredite” tanto da pensare che una vendetta che prevede un crimine di pari grado – la soppressione di una vita umana- sia qualcosa di cui rallegrarsi? Siamo così anestetizzati alla violenza tanto da restare fermi in un mero giudizio di “giusto o sbagliato”? Se condanniamo l’uccisione, e di questo è stato accusato Bin Laden, come possiamo non provare dolore per un’altra uccisione? Come possiamo pensare che ci si possa riscattare come genere umano se nel 2011 ancora sembra valere la legge del taglione, e da questo si giustifica , anzi si elogia la pena capitale? Avrei voluto sentire commenti umani, da persone umane che hanno rispetto della vita e che per questo possono pensare che sia giusto fare un processo regolare ad una persona che tale rispetto non lo ha avuto , e non sentire i rallegramenti ipocriti di chi è felice che “il male “ sia toccato proprio “al male stesso”, per opera del “bene” ( che però a questo punto si è trasformato in male compiendo un omicidio).
Credo che questo accada ogni volta che perdiamo di vista il principio morale di umanità e condanniamo le persone , non i fatti; così se la persona non ci piace è “giusto” che gli si faccia del male…..Vorrei con questo mio commento ricordare a me stessa a chi legge che uccidere è un atto di violenza ,di non rispetto per l’uomo e la vita, ed è sempre così, sia che la persona abbia compiuto a sua volta delle azioni violente oppure no. Vorrei ricordarmi e ricordare che se abbiamo qualcosa di valore in noi stessi è proprio il rispetto per noi e per gli altri, e quindi non possiamo rallegraci per la morte di qualcuno, chiunque esso sia , a maggior ragione quando questo avviene tramite una azione violenta.
Bin Laden è morto, è stato ucciso in una azione violenta, questa è la notizia………i rallegramenti sono invece il frutto di una anestesia al dolore e alla violenza in cui ci stanno lentamente spingendo, facendo leva su un finto vittimismo e sull’antica storia del “bene che combatte il male”. Io ho dolore che ci si rallegri di qualunque omicidio.
Massimiliana Molinari

1 commento:

Roberto ha detto...

Cara Massimiliana,
grazie per aver scelto Recinto Internazionale quale spazio per esporre la tua opinione sulla fine violenta di Osama Bin Laden e grazie per quanto scrivi, per aver denunciato il fatto che oggi sia comunemente accettato che ci si possa rallegrare per una morte.
Io non so perché sia così, ma posso confessare che lunedì scorso, quando ho appreso la notizia dell’uccisione (omicidio) di Osama Bin Laden, ho accolto con una certa sorpresa il vedere che migliaia di persone, a Washington, si fossero riunite davanti alla Casa Bianca per festeggiare con bandiere e slogan la fine violenta del leader di Al-Qaeda. Un certo disorientamento e disagio, invece, mi hanno provocato i commenti di intellettuali e politici, internazionali e nazionali, che da sempre sono ritenuti o si definiscono democratici, progressisti, religiosi ed attenti alla difesa dei Diritti fondamentali dell’uomo (tra cui anche quello alla vita ed di un processo giusto), affermando di sentirsi sollevati e contenti per la morte (assassinio) di Bin Laden. Dichiarando difatti che i Diritti per cui si battono valgono per quasi tutti gli uomini, ma non per tutti. Personalmente un pericolo distinguo. Ieri il Corriere della Sera ospitava un articolo dello scrittore Elie Wiesel che si chiedeva e si rispondeva sul tema: “Era giusto eliminare Bin Laden? Per principio sono contrario alla pena capitale, ma non nel caso di Bin Laden”. Wiesel è un premio Nobel per la Pace. Lo stesso Corriere della Sera ieri ospitava anche la presentazione del libro del Cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia, e della professoressa Adriana Cavarero, dal titolo “Non uccidere”. Le religioni sembrano essere le uniche istituzioni ad aver trattato la questione senza alcun opportunistico distinguo o sorriso.
Osama Bin Laden era (è?) un terribile assassino, ma chi siamo noi per ucciderlo ed essere felici per averlo fatto? E se io volontariamente uccido una persona cosa mi distingue da Bin Laden o da un comune assassinio?
Forse avendo identificato Osama con il Male assoluto, eliminandolo abbiamo creduto di esserci liberato del Terrore che ha seminato, ma, forse, dovremmo interrogarci per non nasconderci la nostra parte di responsabilità, individuali e collettive (Occidente).
RDF