sabato 1 gennaio 2011

Cina: basta inglese!

Il governo cinese ha stabilito che gli editori di giornali, libri e tv nazionali dovranno ridurre l’utilizzo di vocaboli di lingue straniere, prevalentemente l’inglese, nei loro prodotti. Scopo dell’iniziativa, salvare il mandarino dalle contaminazioni straniere
(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

2 commenti:

Roberto ha detto...

Prima il governo cinese aveva invitato la tv di stato (CCTV) e la Beijing Television a limitare l’impiego nei loro programmi di vocaboli stranieri, principalmente inglesi, adesso la GAPP (l’Amministrazione generale della stampa e dell’editoria) ha decretato ai propri affiliati di vietare l’impiego di parole straniere, abbreviazioni straniere, contaminazioni fra lingue diverse e, quando sarà impossibile non utilizzare termini o espressioni straniere, occorrerà farli seguire da traduzioni in mandarino, la lingua (dialetto?) nazionale. Le istituzioni cinesi sono quindi scese in campo per difendere la propria lingua, difatti sembrerebbe eccessivo il ricorrere da parte dei media cinesi a sigle in caratteri latini, sebbene siano divenuti ormai consueti e familiari agli stessi cinesi: GDP (Gross Domestic Product, in italiano il PIL), CEO (Chief Executive Officer, amministratore delegato), WTO (World Trade Organization), così come sigle in ambito sportivo, NBA (la lega americana di basket), AC Milan (AC in caratteri latini), ecc…
L’iniziativa di difendere la lingua nazionale sembra, in Cina, incontrare estimatori tra i docenti universitari, i quali quotidianamente si confrontano con le difficoltà ortografiche e linguistiche degli studenti cinesi, meno contenti invece gli editori che non possono non far notare come sia difficile, nell’era della globalizzazione e di internet (sebbene quello cinese sia censurato), imporre limitazioni ed evitare contaminazioni linguistiche. Nell’articolo del Corriere della Sera, da cui è tratta la notizia, si ricorda, inoltre, che “in Cina possono essere proiettati ogni anno soltanto una piccola quota di film stranieri, mentre è stata prolungata di un’ora, dalle 5 alle 9 di sera, la fascia nella quale è vietato trasmettere in televisione cartoon stranieri, per favorire l’industria cinese dei cartoni animati”.
Ma lo sforzo di difendere la propria lingua e cultura da eccessive (ripeto eccessive) contaminazioni extra confine non deve apparire come un atteggiamento negativo, e comunque nella stessa “evoluta e progessista” Europa, le singole nazioni tendono a tutelare la propria lingua e le manifestazioni della propria cultura con ancor più zelo della Cina. Ad esempio la Real Academia Española (RAE), l'organismo responsabile di elaborare le regole linguistiche ed il vocabolario della lingua spagnola, periodicamente stabilisce come debba essere tradotta in castigliano una parola straniera, ed ecco quindi avere: yate (yacth), ratòn (mouse), direccion (sito web), ecc….Oppure l’articolata legislazione francese con cui è tutelato il cinema nazionale, limitando forteente, difatti, in Francia la proiezione di film stranieri.
RDF

Francesco ha detto...

I tentativi di bloccare la diffusione delle lingue straniere nel proprio paese appare essere l'ennesimo tentativo per impedire la multiculturalità che si sta affermando a dispetto di leggi ed anatemi, come gli sbarchi dei clandestini in Europa, tanto per citare un esempio che ci riguarda da vicino da almeno vent'anni. La comunicazione poi, nel mondo attuale, è ancora più difficile da bloccare, nell'era della globalizzazione e degli scambi commerciali dove la potenza economica ha da tempo soppiantato l’autorevolezza della politica. Sembra quindi una lotta contro i titani, o una lotta di donchisciottesca memoria, contro i mulini a vento. Eppure gli stati nazionali, messi a dura prova nella loro sopravvivenza e nei loro istituti giuridici, ci riprovano ed ogni tanto escono fuori con questi tentativi che appaiono veramente velleitari. E' un ritorno all'identità quello che muove le nazioni nel tentativo di non farsi schiacciare dal prossimo che è davvero prossimo, ovvero sempre più vicino. E' vero, come dice Di Ferdinando, che tutti gli stati, anche quelli occidentali, ci hanno provato o ci stanno provando. Ma sembra davvero una improbabile vittoria. In realtà, si potrebbe, per una volta, cercare di leggere la contaminazione linguistica come uno degli elementi più positivi del nostro tempo: le comunità nazionali soffrono della vicinanza e della promiscuità di altre culture, lingue, religioni, forse di razze, per tornare ad usare un termine che ha assunto, nei secoli diciotto e diciannove un significato negativo. La lingua e la sua contaminazione, nei prossimi decenni, se dovesse, il mondo, rimanere aperto com’è adesso, potrebbe essere uno dei pochi elementi di avvicinamento delle culture che, alla fine, in ognuna di loro esistono degli elementi di vicinanza fondamentali, in quanto intrinsecamente legati all’essere umano ed all’essere individuo. Del resto, l’esperimento di Wikipedia che oggi racchiude i sogni di intere generazioni di linguisti, potrebbe essere davvero la dimostrazione che le contaminazioni linguistiche, in un mondo così compenetrato, a prescindere dalle volontà dei governi nazionali, potrebbero essere il grimaldello per scardinare la xenofobia di ritorno. Può darsi però che ci manchi il tempo per assistere, forse con incredulità e sbigottimento, ad un mondo senza microconflittualità e macroconflittualità, cioè le guerre, di qualunque tipo esse saranno. E se dovessimo invece avere tempo a sufficienza forse, potremo accorgerci che ci sarebbero venuti a mancare gli strumenti per capire che l’unione di tutti i popoli della terra, potrebbe essere arrivata davvero fra di noi. E a quel punto, faremo di tutto per distruggerla.
Francesco Della Lunga