“Il 19 gennaio, la 4° e la 5° divisione
indiane attraversarono il confine a nord del Nilo Azzurro; […] incontrarono
scarsa resistenza, anche se a un certo punto vennero caricate da un ufficiale
italiano su un cavallo bianco, alla testa di una banda di cavalieri amhara
lanciata alla disperata contro le loro mitragliatrici” – John Keegan, La
seconda guerra mondiale.
Si è svolta a Firenze, lo scorso
7 maggio, presso il Cinema Teatro Odeon, la presentazione di un lungometraggio
realizzato e curato da Ascanio Guerriero sulla vita avventurosa, pericolosa, in
una parola straordinaria di Amedeo Guillet, personaggio ai più sconosciuto ma
vera icona di un’Italia, oggi purtroppo assai rara, o almeno così ci pare, che
racchiude in sé principi desueti quali l’amor di patria, l’abnegazione, il
rispetto per le istituzioni (prima monarchiche, poi repubblicane). Sulla sua
vita potrebbe essere realizzato un film epico e questo lungometraggio in
qualche modo potrebbe diventare il primo pezzo di un tassello che porterebbe
molti di noi a riflettere su un passato neppure troppo lontano.
Se vi chiedete chi fosse Guillet potrete
avere risposta leggendo due biografie, una del suo biografo italiano, lo
storico Dan Vittorio Segre con il titolo “Le guerre private del tenente
Guillet”, l’altra dal suo biografo irlandese, Sebastian O’kelly, “Amedeo”.
Quanto visto rappresenta, a nostro avviso, efficacemente il profilo di questo
italiano che ebbe modo di coprirsi di gloria fino a divenire il “Lawrence d’Arabia”
dell’Africa Orientale Italiana.
Amedeo Guillet nacque nel 1909 da
una famiglia di origini aristocratiche piemontesi; il padre era ufficiale
nell’esercito regio e fu combattente durante la Grande Guerra. Iniziò presto la
sua carriera militare nel reparto di cavalleria di Pinerolo dove ben presto fu
notato dai superiori come eccellente cavaliere. Durante il periodo del fascismo
Guillet fu mandato in Africa nelle colonie italiane ed ebbe esperienze in Libia
ed in Eritrea. Dopo un intervento nella Guerra di Spagna fu nuovamente inviato
in Eritrea richiamato dal Duca D’Aosta con il grado di tenente. Guillet divenne
poi, a guerra scoppiata, il comandante di un gruppo di truppe indigene che
avevano il compito di bloccare l’avanzata degli inglesi a Cheren. Nonostante
gli inglesi fossero in sovrannumero e molto meglio armati dei nostri militari, Guillet,
al comando delle Bande Amhara a cavallo (contro carri armati!), riuscì a tenere
impegnati i sikh per diversi giorni sull’altopiano. Quando l’avanzata inglese
non poté più essere fermata e dopo che gli italiani furono dichiarati
sconfitti, Guillet ed i suoi non si arresero ma si diedero alla macchia.
Profondo conoscitore dei costumi eritrei, riuscì in una incredibile opera di
mimetizzazione fino a passare come uno di loro. Ed assieme agli eritrei
continuò nel suo tentativo di bloccare gli inglesi intraprendendo azioni di
disturbo e vere e proprie imboscate. Gli inglesi si accorsero che alla testa di
questi gruppi c’era un italiano ed iniziarono a dargli la caccia. Nel frattempo
era divenuto il “comandante diavolo”. Verso la fine del 41 anche questo
tentativo di prolungare la guerra dovette cessare. Guillet rimase solo e decise
di fuggire verso lo Yemen. Arrivò a Massaua, ma venne rapinato. Tentò di
attraversare il deserto, rischiò la morte, ma venne raccolto da un venditore di
acqua proprio quando la sua vita era ormai appesa ad un filo. Questi riuscì a
farlo imbarcare clandestinamente per lo Yemen che in quel periodo non era
ostile agli italiani. Era infatti dallo stato arabico che partivano i piroscafi
della Croce Rossa per rimpatriare gli italiani che erano nel frattempo stati
cacciati dall’Eritrea. Dopo diverse disavventure il nostro riuscì a salire su
uno di questi piroscafi e dopo aver circumnavigato l’Africa fece rientro in
Italia. Una volta raggiunto il territorio nazionale si mise a disposizione
dell’esercito regio, ma l’Italia era ormai divisa in due (le forze alleate
avevano già iniziato la risalita della penisola e la guerra partigiana era in
pieno svolgimento); il Re era riparato a Brindisi. Guillet si mise nuovamente a
disposizione della monarchia e tornò a combattere, stavolta a fianco degli
inglesi. Al termine della guerra, una volta che la monarchia fu sostituita
dalla Repubblica, Guillet iniziò la carriera diplomatica che lo portò verso le
terre a lui ormai familiari, l’Egitto, l’Eritrea, lo Yemen, l’India. Non solo
uomo d’azione, ma anche un diplomatico eccezionale, in grado di migliorare i
rapporti con tutti i paesi nei quali avrebbe avuto mandato.
Una volta chiusa la sua carriera
diplomatica, Guillet decise di vivere in Irlanda. In questo paese avrebbe avuto
numerosi riconoscimenti dai suoi nemici. Il nostro Paese ha iniziato a
rendergli omaggio sul finire degli anni Novanta. Amedeo Guillet si è spento
all’età di 101 anni nel 2010.
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