venerdì 8 febbraio 2008

Scellerate notizie dall'Europa: La Fiera del Libro di Torino

Israele ospite d’onore - Il boicottaggio
Corriere della Sera – Corriere.it del 5 febbraio 2008

2 commenti:

Unknown ha detto...

Tariq Ramadan, noto intellettuale e professore di filosofia e studi islamici di origine egiziana, ha sostenuto in una recente intervista rilasciata AKI-ADNKRONOS INTERNATIONAL che tutti coloro che "hanno una coscienza viva", a prescindere dal loro credo, dovrebbero boicottare la Fiera del Libro di Torino, in programma dall'8 al 12 maggio e quella di Parigi del marzo prossimo, in quanto vedranno Israele come ospite d'onore: quest’anno si celebrano infatti i sessant’anni della nascita dello Stato d’Israele. L’invito di Ramadan (“non bisogna recarsi in un posto destinato a celebrare uno stato che pratica l'omicidio e la distruzione”) è stato condannato dai dirigenti nazionali di tutti i partiti politici italiani e da tutte le testate giornalistiche, sebbene sezioni locali del Partito dei Comunisti Italiani e di Rifondazione Comunista, sostenuti da alcuni movimenti vicini alla sinistra, lo condividano. Non solo, alcuni intellettuali e scrittori del mondo arabo, ma anche occidentali hanno accolto l’invito ritirando la propria partecipazione alle suddette fiere.
Non è limitativo ed anticulturale chiedere di boicottare una fiera che ospita intellettuali e scrittori israeliani per il solo fatto che questi sono cittadini di Israele? Dare risonanza e promuovere in una fiera internazionale i testi di autori israeliani non è cosa distinta dal dare pubblicità alla politica del governo di cui non si condivide la politica?
Le polemiche sull’intervista di Ramadan si sono consumate negli stessi giorni delle celebrazioni del Giorno della Memoria. Curioso che la stessa intellighenzia progressista che in Italia ed in parte dell’Europa ha ricordato con grande professionalità gli orrendi crimini nazi-fascisti, dopo solo alcuni giorni si sia dimenticata di condannare fermamente questo scellerato boicottaggio.
Riporto qui l’interessante intervento di Aldo Grasso apparso sulle pagine del Corriere della Sera nei giorni scorsi:
“Il silenzio della tv dopo le accuse agli organizzatori per la decisione di avere Israele come ospite d'onore - Il Giorno della Memoria, una settimana fa, avete riempito i vostri programmi di toccanti testimonianze sulla Shoah e adesso niente, neanche una parola per condannare il boicottaggio contro gli scrittori ebrei o per prendere le distanze da Tariq Ramadan.
Mi rivolgo a Lei, Fabio Fazio, al suo autore più prestigioso, Michele Serra, a Giovanna Zucconi, che ogni settimana consiglia ottimi libri, mi rivolgo a voi perché «Che tempo che fa», considerata a ragione una delle rare trasmissioni in cui si parla ancora di cultura, non lasci passare sotto silenzio l'appello lanciato da gruppi della sinistra antagonista contro la Fiera del Libro, «colpevole» di aver invitato a Torino gli scrittori di Israele come ospiti d'onore.
Serena Dandini, conduttrice di «Parla con me» (Ansa)
Mi rivolgo a lei, Serena Dandini, che ogni domenica sera ospita nel suo salotto televisivo grandi scrittori e artisti famosi, chiedendole di pronunciarsi, dire parole chiare, senza tentennamenti, su questo clima di intolleranza suscitato da alcune minoranze bellicose che amano però riempirsi la bocca della parola «pace».
Mi rivolgo a voi, Piero Dorfles e Neri Marcorè, a voi e al vostro programma domenicale «Per un pugno di libri» perché interveniate a spiegare al vostro giovane pubblico che questi sciagurati boicottaggi non solo confondono in maniera subdola la responsabilità del singolo scrittore con le posizioni politiche di uno Stato ma, sotto sotto, mettono in discussione il diritto stesso all'esistenza di Israele. Mi rivolgo a lei, Corrado Augias, il cui impegno dichiarato, come dice lei, «è solo fare e indurre a fare qualche ragionamento», perché inviti nella sua trasmissione quotidiana i responsabili della Fiera di Torino Ernesto Ferrero e Rolando Picchioni a spiegare la loro scelta. Giorni fa ha chiamato Giulietto Chiesa a raccontare le sue deliranti convinzioni sul complotto dell'11 settembre. Bene. Spero trovi il modo di offrire ospitalità anche a chi ha civilmente deciso di offrire a Israele un proprio stand nazionale, come è successo negli anni passati con altri Paesi, in coincidenza con il 60˚ anniversario della fondazione di quello Stato”.
RDF

Unknown ha detto...

E’ sempre assai difficile avventurarsi in questioni politiche quando si ha l’ambizione di parlare di Israele e della vicenda storico politica dello stato ebraico. E questo perchè noi europei ci portiamo dentro, ancora oggi, e probabilmente ancora per molto tempo, il peso della grande tragedia della Shoah. Quel senso di colpa maturato dopo che i governi europei delle nazioni libere avevano lasciato agire Hitler, nonostante che gli americani avessero scoperto che cosa probabilmente avveniva ad Auschwitz, oggi Oswiecim. Del resto oggi, molte fonti documentali hanno dimostrato che i leader politici del tempo ed alcuni strati della popolazione conoscevano quello che accadeva nella ex Prussia Orientale ed in Polonia, unificate sotto il Terzo Reich. Così, per attutire quel senso di colpa verso l’inazione dei governi che aveva in qualche modo concepito o favorito lo sterminio degli ebrei d’Europa, Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia da un lato e le nuove democrazie nate dalle ceneri del fascismo e del nazismo dall’altro, corsero ai ripari favorendo la nascita dello stato d’Israele, quasi come se volessero tentare di emendarsi della loro responsabilità politica che, con il tempo, avrebbe assunto forme sempre più inquietanti. La ricerca storica su questi eventi è assai vivace e probabilmente altri documenti verranno alla luce nei prossimi anni. Ma per ora, può essere sufficiente constatare che ogni cittadino europeo che provi ad avvicinarsi con occhio critico a quelle lontane, ma ancora assai vivide vicende, non può non inorridire e non può fare a meno di chiedersi come sia potuto succedere. Primo Levi diceva che essendo accaduto, avrebbe potuto accadere nuovamente. Ma le spiegazioni del perché tutto questo sia realmente accaduto non possono essere oggetto di queste brevi considerazioni. Rimarrei ancora un attimo sul senso di colpa. La prova più chiara che questo esiste lo si avverte nelle dichiarazioni dei leader politici che da un lato stigmatizzano fenomeni sempre più frequenti di antisemitismo e dall’altro cercano di non irritare lo stato di Israele sulla questione palestinese. Quest’ultimo punto rappresenta oggi uno dei problemi più complessi che l’odierna Unione Europea si trova a maneggiare, spesso senza risposte univoche e spesso agendo anche troppo diplomaticamente. Probabilmente perché la forza delle istituzioni comunitarie nell’ambito della politica estera è ancora assai scarsa. Però la ricerca della verità non consente di chiudere gli occhi di fronte a tutto quello che accade nello stato ebraico. Non c’è dubbio infatti che negli ultimi sessant’anni il centro dell’agenda politica è dettato dalla lotta dei palestinesi per l’affermazione di un proprio stato e dalle risposte degli israeliani. Purtroppo non c’è nulla da fare. Questi due popoli, per ragioni storiche che non possono essere modificate, sono destinati a vivere insieme. E forse occorrerebbe che i leader politici che si succedono, soprattutto nello stato ebraico che è uno stato democratico con una struttura forte e di cultura profondamente occidentale avessero più coraggio. Questo significherebbe cercare di comprendere anche le ragioni dell’altro e provare ad intraprendere un reale cammino verso la pacificazione. Che sarebbe una vera rivoluzione politica nella regione dal momento che poi gli stati arabi non avrebbero più pretesti per poter attaccare continuamente Israele. Difficile chiedere questo al nascente stato palestinese dal momento che la situazione politica in Cisgiordania e a Gaza è figlia di quella sociale. E la situazione sociale in questi due martoriati lembi di terra è vicina all’esplosività, almeno stando a quello che raccontano gli osservatori internazionali più neutrali, che cercano anche di capire come si stanno sviluppando le dinamiche all’interno del caos palestinese. D’altra parte, come umanamente si è portati a schierarsi verso chi appare più debole, ci pare difficile dimenticare che in questo caso, il soggetto più debole della partita è proprio lo Stato Palestinese, come una volta è stato il popolo di Israele. Se l’Europa vuole tentare o avere l’ambizione di riparare, in qualche modo, ai tragici errori del passato, non può ignorare la situazione della Cisgiordania e della Striscia. Perché altrimenti si cade nell’errore di non farsi carico delle sofferenze della parte che è in questo momento storico più debole, e soggetta alle manipolazioni dei fondamentalisti e degli jihadisti. Credo che non sia corretto attribuire ogni voce critica nei confronti dello Stato d’Israele, potenza nucleare nella regione, rispetto alle modalità con le quali tratta la questione palestinese come un rigurgito di comunismo che ogni tanto riaffiora nella classe politica europea ed in quella italiana. Finché continueremo a dibattere issando muri contro l’avversario, come ad esempio quello costruito recentemente da Israele, non c’è speranza. Credo che la Storia abbia già dimostrato che la costruzione dei muri non blocca lo spostamento di persone, quando si ritiene soprattutto che il muro rappresenti, in qualche modo, una limitazione della libertà. Con questo non si è certamente vicini al professor Tariq Ramadan. Le sue posizioni sono quelle di un radicale che parla con un linguaggio che allontana ogni sorta di mediazione. Spiace assai che questo studioso porti avanti quelle posizioni, nonostante che viva ed insegni in un paese che ha fatto della democrazia e della tolleranza multietnica, un baluardo culturale che dura da qualche secolo. Ma, mettendo il signor Ramadan da una parte, non possiamo neppure tacere di fronte ad evidenti strappi che lo stato di Israele ha fatto negli ultimi anni, di fronte ad una situazione palestinese che sta diventando sempre più pesante, alimentata dalla crescita demografica in un fazzoletto di pochi chilometri quadrati, da una politica di sanzioni economiche quasi insormontabili, da una povertà sempre più diffusa fra il popolo palestinese. Questi fatti purtroppo costituiscono i presupposti che alimentano il fondamentalismo ed il radicalismo. Se la parte più forte continua a schiacciare l’avversario, è difficile pensare che questi, quand’anche decidesse di arrendersi, non covi un forte rancore e che non sviluppi le azioni per la rivalsa. Lo stato ebraico dovrebbe fare il primo passo perché Gerusalemme è la parte più forte nella contesa. Dovrebbe allentare il blocco economico e favorire la nascita di una classe media palestinese che possa assumere responsabilità di governo. Dovrebbe trovare il coraggio e la forza di negoziare con dei leader che non professano la distruzione dello Stato ebraico e che certamente esistono nel composito mondo palestinese. Non avrebbe dovuto distruggere Fatah prima che si potesse accertare la presenza di una leadership più moderata che avrebbe potuto prenderne il posto. Invece si è cercato di accontentare le frange più radicali della società israeliana cercando di umiliare l’avversario. Inutile ricordare che il conflitto accesosi negli ultimi cinque anni conosciuto come seconda intifada e culminato con la disastrosa vittoria di Hamas nella Striscia è iniziato con la visita dell’ex primo ministro israeliano Ariel Sharon sulla Spianata delle Moschee. I palestinesi hanno risposto al leader del Likud iniziando una nuova battaglia che ha generato nuovi morti e lutti in Israele. L’azione dei politici israeliani negli ultimi anni ha portato risultati disastrosi sia per lo Stato di Israele che per il popolo palestinese. Con il risultato ultimo che una classe politica, seppur corrotta ma ancora radicata nella società palestinese è stata distrutta senza che al suo posto fosse emersa una classe politica più responsabile e desiderosa di fare la pace. Con il risultato che Hamas ha preso il sopravvento nella Striscia di Gaza, la zona da dove partono gli attentati agli israeliani. Con un fallimentare intervento in Libano che non ha risolto la situazione generatasi nel sud del paese dei cedri all’indomani della guerra civile degli anni Ottanta, con il risultato di infiammare ancora di più gli animi dei paesi confinanti con Israele. Senza citare l’intervento americano in Iraq. Il nostro paese, con l’Unione Europea di rimessa, ha cercato negli ultimi due anni di accelerare o favorire in qualche modo il difficile processo di pacificazione fra israeliani e palestinesi. L’intervento in Libano rappresenta il punto più evidente e forse di maggior successo di questo impegno. Ma anche l’Europa dovrebbe fare maggiormente la sua parte. Senza chiudere gli occhi su eventuali responsabilità internazionali di uno Stato, quello ebraico, che è parte della cultura occidentale e che ne è uno o forse il principale fondatore di quella cultura che ha fatto della battaglia sui diritti civili e politici dei cittadini il suo punto più alto.

Ricordiamo ancora assai bene il dramma di una cooperante americana schiacciata da una ruspa israeliana nel lontano 2003 (http://www.repubblica.it/online/esteri/terriquattordici/nove/nove.html ). Pochi forse ricorderanno perché i giornali occidentali non amano parlare di questo, essendo argomenti assai scomodi. Non sappiamo, ma ci auguriamo che lo Stato Ebraico abbia saputo punire chi si è macchiato di un crimine così orrendo.
FDL – 08 febbraio 2008