sabato 5 gennaio 2008

Notizie dagli Stati Uniti: Obama, la nuova speranza

I giornali di tutto il mondo parlano della vittoria di Barack Obama nei caucus dell'Iowa.

4 commenti:

Unknown ha detto...

Barack Hussein Obama sembra incamminato verso la conquista dello Studio Ovale. Anche se indietro nei sondaggi, che lo vedono soccombere di fronte ad Hillary Rodham Clinton, ieri il senatore nero ha sferrato un duro attacco alla leadership della senatrice Clinton. E’ riuscito ad espugnare uno degli stati più bianchi degli Stati Uniti d’America, lo Iowa, composto al 95% di bianchi, discendenti degli antichi coloni olandesi, tedeschi, danesi ed irlandesi. L’America sembra volersi consegnare ad un giovane presidente, abbandonando per sempre la “vecchia politica”. Noi non siamo molto addentro alle politiche presidenziali americane, su quali sono i temi prevalentemente dibattuti, sul ruolo della politica nazionale e politica estera. L’immagine che arriva a noi degli Stati Uniti è forzatamente quella dell’ultima grande potenza, l’unico impero ancora esistente, dopo la fine del Novecento. Ma i temi a cui accennava Obama, che in parte appartengono anche al linguaggio della Clinton, paiono farci pensare ad un ritorno dell’America dentro i propri confini, quando il nuovo leader democratico afferma che “Sarò un Presidente che porrà fine alla guerra in Iraq e finalmente porterà a casa i nostri soldati” oppure che “utilizzerò l’ingegno di contadini, scienziati ed imprenditori per affrancare questa nazione dalla tirannia del petrolio”. Sono stati due cardini della politica imperialistica di Bush Junior, la sciagurata guerra in Iraq iniziata con la favola della “pistola fumante” e delle armi di distruzione di massa che nessuno ha mai scoperto e la ricerca spasmodica del controllo delle vie energetiche. Ora Obama sembra fare un passo indietro ed ascoltare quello che pare trasparire dall’America profonda. Se Obama vincesse, forse, l’America tornerebbe a guardare al proprio interno, al proprio vastissimo territorio, lasciando per un po’ da parte i grandi scenari internazionali. Gli americani potrebbero tornare a vagheggiare nuove frontiere, quelle interne, che andrebbero dalla sanità per tutti alla lotta contro il “global warming”. Pare difficile che ciò possa accadere, ma sarebbe assai curioso se Washington disarmasse. Forse si potrebbe cominciare a vedere in che modo gli stati europei si riposizionerebbero sullo scacchiere internazionale, potendo tornare a recitare il ruolo delle antiche potenze, oppure sprofondando sempre di più nella marginalità politica, pur essendo un gigante economico, lasciando il campo alla crescente forza della Cina e dell’India, che stanno velocemente assurgendo al ruolo che un tempo fu della Gran Bretagna prima e dell’ex URSS poi. Un America più attenta verso il proprio interno, un America che torna a guardare se stessa ed il proprio “giardino di casa” è forse un utopia, essendo questa fase confinata per sempre dalla storia del Novecento. Ma tutte le grandi potenze sono destinate al declino, proprio come la Storia ha sempre insegnato. Potrebbe essere arrivata l’ora dell’America, in attesa che il testimone sia saldamente in mano alle nuove potenze orientali o che torni, almeno per un po’ nelle mani della nuova Unione Europea che ancora esita a camminare con le proprie gambe.
FDL

Unknown ha detto...

Gli analisti hanno commentato che il successo di Obama nei caucus dell'Iowa non è da intendersi quale sorpresa. Difatti i tanti consensi ottenuti dal giovane candidato democratico sono riconducibili al desiderio degli Stati Uniti di cambiare il modo ed i temi della politica e ringiovanire la politica stessa. Non a caso gli slogan più ricorrenti dei candidati, in questo momento ritenuti più vincenti, siano essi democratici o repubblicani, contengono le parole change (cambiamento) e fresh (nuovo, giovane). Ad oggi è comunque difficile prevedere se Obama (a cui va la mia personale preferenza) sarà il candidato democratico alla Casa Bianca, mentre è ancor più complesso individuare un possibile candidato repubblicano, difatti il fronte conservatore è quello più variegato (qui invece la mia preferenza va al senatore John McCain).
Il fatto poi che i candidati, prevalentemente democratici, indichino il desiderio di spostare gli interessi della prossima amministrazione verso i temi interni, più che verso quelli di politica internazionale, nonostante lo storico impegno militare ed economico degli USA nel mondo, non è anch’esso da sorprenderci. Infatti ripercorrendo la storia delle elezioni presidenziali statunitensi le questioni internazionali non hanno mai fatto vincere o perdere un candidato presidente. L’elettorato americano infatti è da sempre interessato alle tematiche che riguardano la quotidianità. Il Presidente Wilson partecipò a vincere la prima guerra mondiale, ma il suo piano di creare un pacifico mondo confederato fu miseramente bocciato al Congresso, successivamente le presidenze Jonhson e Nixon, furono fortemente influenzate dalla odiosa guerra in Vietnam, ma caddero, per motivazioni diverse, per semplici questioni interne. Ed ancora, le due amministrazioni democratiche Clinton si esposero con successo per pacificare i Balcani, dove tutt’oggi i soldati USA sono massicciamente schierati, ma questo, assieme ad un rilancio economico, non bastarono a prevalere su Bush junior. Paradossalmente Gorge Bush è riuscito a farsi rieleggere nel 2004, puntando invece su un tema internazionale, quello di affrontare militarmente il terrorismo mondiale, giocandoselo però a proprio favore, legandolo difatti alla questione della sicurezza nazionale, che, dopo l’11 settembre, per gli Stati Uniti è diventato un tema di politica interna, che tocca tutti gli americani.
Quindi la mia speranza è che i candidati, democratici e repubblicani, ripercorrano le strategie elettorali dei loro predecessori, che parlino sì di nuova politica più attenta alle questioni interne rispetto a quelle internazionali, ma che poi, effettivamente, non lascino la guida delle politiche mondiali ad altri soggetti. Negli anni Venti gli USA si ritirarono dalla scena internazionale e ciò contribuì al sorgere del secondo conflitto mondiale. Oggi l’Europa, mancante di una politica comune, è accecata, nei singoli soggetti nazionalistici, dal desiderio di conseguire interessi particolari e sembra così disposta a cedere guide politiche e militare ai nuovi paesi emergenti: Russia, Cina, India, che però, mancanti di ogni garanzia democratica non ci prospetterebbero alcun futuro migliore.
Pertanto mi auguro vivamente che la Storia ci lasci in vita ancora per molti secoli l’Impero Statunitense. Un mondo senza la potenza democratica, militare ed economica degli Stati Uniti d’America non è un mondo migliore.
RDF

Unknown ha detto...

A completamento del mio intervento di sopra e per rispetto della Storia devo ricordare due importanti presidenti statunitensi, Dwight David "Ike" Eisenhower e Ronald Regan che, sebbene storicamente distanti, furono però candidati vincenti in quanto si dimostrarono i più decisi, in politica estera, nel confrontarsi con il più pericoloso nemico degli USA di quei decenni, l'URSS. Anche se Reagan vinse la sua corsa alla Casa Bianca, promettendo meno tasse e più investimenti per risollevare una economia asfittica.
RDF

Unknown ha detto...

Il bello della politica, di qualunque politica in qualsiasi paese è l'imprevedibile, l'irrazionalità. Per noi che siamo razionali, che valutiamo le questioni politiche alla luce della convenienza o dell'interesse di persone o di gruppi, vedere che in una notte sondaggi che danno un candidato vincente di oltre dieci punti vengono sommersi dai voti contrari è una cosa che da un lato sorprende, ma dall'altro contribuisce a rendere viva ed avvincente una battaglia politica. Per rimanere al tema, agli Stati Uniti, la potenza guida, egemone, che plasma con la propria presenza messianica l'esistenza del pianeta ed alla periodica ed affascinante battaglia per la presidenza, il rito democratico per eccellenza in un paese democratico, si può decisamente concordare con gli osservatori che vedono il termometro delle elezioni con una temperatura decisamente favorevole per Hillary Clinton. I giornali nazionali, la stampa internazionale, i grandi network di informazioni televisive non si curano dei repubblicani, dando quasi per scontato che la battaglia per la Presidenza fra i due schieramenti è già destinata a far felici i sostenitori democratici, ma puntano i riflettori sullo scontro fra i candidati democratici. Per noi che assistiamo da lontano, da semplici cittadini osservatori che consapevolmente desiderano sapere chi sarà il successore di George W. Bush per capire se l'Europa dovrà rimboccarsi le maniche oppure rimanere prudentemente all'ombra del potente alleato, non possiamo non rimanere affascinati da questo rito che si ripete ogni quattro anni e soprattutto nel constatare che una vittoria politica è spesso affidata alla comune sensazione, alla simpatia, all'empatia, all'umanità che un candidato riesce ad esprimere, in una parola nella sua "vicinanza" all'uomo della strada. Che poi sia tutta una montatura, una "sovrastruttura", un essere "personaggio" con un ruolo che il candidato si crea poco importa. In certi periodi storici, l'empatia, la comunicabilità, il carisma, hanno cambiato radicalmente la Storia. Oggi siamo molto lontani dal consegnare un paese, almeno nel mondo occidentale, a "personaggi fatali". Eppure, il carisma, nelle vicende politiche, ha ancora un ruolo fondamentale. Vedremo nelle prossime settimane se i cittadini statunitensi faranno prevalere la "vecchia politica", consegnando la Casa Bianca alla collaudata coppia Clinton oppure decideranno di far valere il carisma ed il sogno o l'irrazionalità per catapultare nello studio ovale un giovane ragazzo di colore che può riaccendere ancora il sogno americano. FDL