mercoledì 17 settembre 2008

Notizie dal mondo: il terrorismo internazionale è un classico fenomeno terroristico od è un neoterrorismo?

di Roberto Di Ferdinando

1 commento:

Anonimo ha detto...

Secondo alcuni analisti gli attacchi agli Stati Uniti dell’11 settembre 2001 dimostrerebbero, per il numero di vittime, per il modo con cui furono condotti e per gli effetti politici e economici che continuano ancora oggi a provocare, il livello altamente innovativo, e quindi ancor più pericoloso, raggiunto dal terrorismo internazionale; tale da essere oggi definito neoterrorismo per distinguerlo da uno, precedente e con caratteristiche diverse, chiamato invece classico.
L’obiettivo del terrorismo rimarrebbe quindi lo stesso: diffondere la paura e abbattere il senso di sicurezza di una collettività attraverso il compimento di attentati, per minacciare così l’ordine e la stabilità politico-istituzionale di un paese per fini ideologici, religiosi, nazionalistici, ecc... A cambiare sarebbe invece la sua organizzazione, la sua strategia operativa e la scelta degli obiettivi da colpire.
La difficoltà nel confutare o sostenere tale tesi risiede principalmente nel fatto che sul termine di terrorismo regni molta confusione. Infatti, sebbene il terrorismo abbia un origine antica e sia di drammatica attualità, non esiste una sua definizione completa e comune. Abbiamo invece definizioni restrittive oppure espansive, spesso derivanti da esperienze terroristiche locali o nazionali, ma niente che faccia riferimento ad un sistema normativo internazionale.
Eppure la necessità di contrastare il terrorismo non solo con la repressione, ma tramite la prevenzione e la composizione di specifici codici normativi si era sentita già nella prima parte del Novecento. In quel periodo infatti una lunga scia di attentati mortali a capi di stato (Umberto II di Savoia, Francesco Ferdinando d’Austria, Alessandro di Jugoslavia), destabilizzante per l’ordine e la pace continentale, convinse nel 1937 24 paesi, nell’ambito della Società delle Nazioni, dell’opportunità di avanzare una bozza di Convenzione internazionale per la prevenzione e la repressione del terrorismo, legata anche alla creazione di una corte internazionale competente in materia di delitti di terrorismo. Nella bozza si definivano terroristici quei “fatti criminali contro uno stato con lo scopo di provocare terrore presso gruppi di persone o la collettività”. Una definizione molto generica che non specificava cosa s’intendesse per fatti criminali, ma comunque un positivo passo avanti nell’azione internazionale antiterrorista. Ma questi buoni propositi ben presto caddero, infatti la Convenzione non entrò mai in vigore per l’approssimarsi della seconda guerra mondiale.
Per il successivo tentativo di dare una legittimità giuridica internazionale al reato di terrorismo si sono dovuti attendere ben sessanta anni. L’occasione fu data, negli anni novanta, dalla compilazione dello statuto della Corte Penale Internazionale (CPI), la prima giurisdizione internazionale a valore universale con lo scopo di giudicare l'insieme dei crimini internazionali. La bozza dello statuto indicava per terrorismo: “…intraprendere, organizzare, sponsorizzare, ordinare, agevolare, finanziare, incoraggiare o tollerare atti di terrorismo contro uno stato dirett,o contro persone o cose e di natura tali da provocare paura, terrore, insicurezza, presso l'opinione pubblica, gruppi di persone, o della popolazione, per qualsiasi motivo od interesse od obiettivo politico, filosofico, ideologico, razziale etnico, religioso o di qualsiasi altra natura invocata o giustificata. Attacco che prevede l'utilizzo di strumenti esplosivi, armi e sostanze pericolose, per perpetuare violenza in maniera indiscriminata la morte a persone, gruppi di persone e popolazioni”. Nonostante la dettagliata definizione molti paesi non trovarono su di essa un comune accordo, che fu quindi cancellata dalla bozza. Lo statuto della CPI fu approvato a Roma nel 1998, la Corte è oggi operante, ma non è legittimata a giudicare il reato di terrorismo.
L’accordo non si è raggiunto neanche in sede europea. La proposta dell’Unione Europea di definire il terrorismo: “..l’attacco intenzionalmente commesso da un individuo o gruppo ad uno o più paesi alle loro istituzioni o cittadini con lo scopo di intimidire ed alterare seriamente o distruggere le strutture sociali, politiche o economiche di un paese”, non ha convinto gli stati membri che l’hanno così respinta. L’UE ha però fatto un passo avanti impegnando, con la decisione del Consiglio europeo del 13 giugno 2002, ogni stato membro ad adottare all’interno del proprio ordinamento le necessarie misure giuridiche ed investigative affinché siano considerati atti terroristici una serie di azioni quali: “…attentati alla vita di una o più persone, a strutture pubbliche o governative sequestri di mezzi di trasporto che possono arrecare grave danno ad un paese od ad una organizzazione internazionale”.
Neanche nell’ambito delle Nazioni Unite, per il sorgere di veti incrociati ed il mantenimento di delicati equilibri diplomatici, si è voluto trovare un accordo sulla definizione di terrorismo. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU si limitò semplicemente a condannare il terrorismo con la risoluzione 1368 del 12 settembre 2001. Mentre nelle successive risoluzioni (la 1373 del 21 settembre 2001 e la 1377 del 22 novembre del 2001) la sua azione fu di invitare gli stati membri ad individuare e bloccare le fonti di finanziamento dei gruppi terroristici e le azioni di fiancheggiamento al terrorismo internazionale.
In mancanza di una definizione comune di terrorismo, ai fini del nostro iniziale interrogativo, sull’esistenza o meno di un terrorismo di nuovo tipo, sarà quindi utile analizzare la definizione statunitense. Non solo perché oggi gli USA sono i principali protagonisti nella guerra al terrorismo internazionale, o perché questa definizione è strettamente legata alla discussa dottrina dei neoconservatori sull’uso della forza preventiva contro le minacce internazionali, ma perché i teorici americani, per definire il terrorismo attuale:“…uso calcolato della violenza o della minaccia della violenza per raggiungere obiettivi politici, religiosi o ideologici, attraverso l'intimidazione, la paura, la coercizione. Il terrorismo è un atto non convenzionale, atto criminale, atto di natura simbolica e politica, con obiettivo non le vittime direttamente coinvolte ma il paese o l'audience prossima e più ampia”, introducono il concetto nuovo di atto non convenzionale (no conventional action), cioè atto non consueto, non ordinario.
Dall’utilizzo di questo termine emergerebbe quindi che il moderno terrorismo internazionale si contraddistinguerebbe da uno di tipo classico (convenzionale), non solo da un punto di vista storico, ma per strategia operativa, organizzazione e diffusa capacità di colpire.
Il terrorismo classico sarebbe invece caratterizzato da una profonda connotazione politica od ideologica (esempio la sovversione di estrema sinistra o destra, presente in Italia e in Germania), oppure nazionalistica (l’ETA in Spagna o l’IRA in Irlanda del Nord), ma con una organizzazione, rilevanza e diffusione prettamente nazionale.
In base al contributo della definizione statunitense si farebbero così rientrare nella categoria di neoterrorismo alcuni recenti fenomeni quali: l’ecoterrorismo, il narcoterrorismo, il terrorismo nucleare o chimico, il terrorismo informatico e quello di matrice religiosa.
L’ecoterrorismo si classificherebbe in questa nuova categoria per la novità della causa che persegue (l’ambiente) e gli obiettivi che colpisce (prevalentemente opere pubbliche), perché infatti la mancanza di una propria organizzazione e l’operare limitatamente alle regioni settentrionali dell’America e dell’Europa, lo farebbe supporre più correttamente quale un fenomeno criminale prettamente locale.
Anche lo stesso narcoterrorismo è limitato ad alcune zone geografiche del continente, America centrale e meridionale e Asia orientale, ma i cartelli della droga hanno proprie e definite organizzazioni con legami ed interessi in tutto il mondo, che tutelano colpendo, spesso con efferati attentati, le istituzioni governative nazionali o i cartelli concorrenti, facendoli così rientrare in tale categoria.
Fortunatamente, ad oggi, non esistono esempi di terrorismo nucleare o batteriologico, ma non bisogna dimenticare lo sforzo quotidiano condotto dai servizi segreti di mezzo mondo per contrastare il tentativo effettivo da parte di organizzazioni terroristiche di dotarsi di armamenti NBC. Invece si ha un precedente nell’impiego di armi chimiche per compiere un attentato criminale. Il 20 marzo del 1995 nella frequentatissima metropolitana di Tokyo fu infatti liberato un gas nervino, il sarin, che provocò la morte di dodici persone e l’intossicazione di molte migliaia. I responsabili furono gli aderenti alla setta Aum Shinrikyo (Sublime verità), organizzazione che mischiava visioni apocalittiche del futuro con un sentito odio antiamericano.
Quello informatico è stato inserito nella categoria di neoterrorismo perché utilizza le nuove tecnologie quale strumento operativo. Ma oggi non possiamo ritenere questo fenomeno un terrorismo, non esistendo, attualmente, una organizzazione internazionale specializzata per fini politici, ideologici o religiosi a destabilizzare l’ordine internazionale muovendo attacchi coordinati contro le reti informatiche mondiali. Certamente le attuali organizzazioni terroristiche utilizzano la rete quale supporto operativo o per fare attività di proselitismo, od ancora gruppi criminali violano i sistemi informatici per trarne profitti illeciti, ma in questo ultimo caso siamo di fronte a comuni azioni illegali. Tutto ciò però non ci deve far dimenticare che la nostra società si basa quotidianamente sull’utilizzo di reti informatiche che garantiscono le comunicazioni, gli scambi finanziari e la gestione delle risorse energetiche. Quindi queste delicate e strategiche strutture devono essere difese da attacchi esterni, si pensi infatti ai gravi effetti che provocherebbe un prolungato black-out delle comunicazioni od energetico.
Purtroppo, invece, la cronaca ci dimostra l’esistenza di un pericoloso terrorismo connotato da una profonda motivazione religiosa: il terrorismo islamico, oggi, forse erroneamente, connotato quale terrorismo internazionale per la sua capacità di colpire ovunque. Questo terrorismo che si differenzia, per obiettivi, strategia ed organizzazione, da quello degli anni precedenti, è corretto giudicarlo un nuovo tipo di terrorismo?
Analizziamo alcuni dati che possono aiutarci a dare una risposta. Secondo una ricerca americana dal 1978 al 2001, escluso gli attacchi dell’11 settembre, si sono verificati circa 5000 attentati di terrorismo internazionale. Di questi circa due terzi sono stati mossi contro edifici o settori imprenditoriali facilmente vulnerabili. Con l’11 settembre questa pratica si è confermata. Le Twin Towers ospitavano infatti sedi di importanti uffici finanziari e commerciali statunitensi ed internazionali ed erano il cuore economico di New York. Non solo, le stesse torri erano già state vittime di un attentato di matrice islamica il 27 febbraio del 1993, quando una autobomba, piazzata nel parcheggio del sottosuolo, esplose provocando la morte di 6 persone e il ferimento di trecento. Ed ancora sedi economiche quale obiettivo privilegiato dei terroristi: nel novembre 2003 la televisione inglese ITV ed il quotidiano Daily Mail diffusero infatti la notizia, non smentita dal governo inglese, che fosse stato sventato l’attentato, con aerei di linea sequestrati, contro grattacieli di Canard Wharf, il quartiere degli affari di Londra, dove lavorano circa 26000 persone.
L’11 settembre furono però colpiti, la prima volta sul territorio statunitense, anche sedi militari, il Pentagono, preceduti un anno prima dall’attentato alla nave statunitense Cole, provocato da un imbarcazione kamikaze nel porto di Aden in Yemen. Da allora altri obiettivi militari sono stati duramente attaccati: i nostri soldati a Nassiryia e le base americane in Irak. Anche questa strategia non è nuova, infatti nel 1983 un camion bomba kamikaze esplose a Beirut in una caserma americana, causando la morte di 241 persone. Anche il ricorso ad attentatori suicidi non è quindi una novità per i terroristi. Il terrorismo islamico li impiegò la prima volta il 30 maggio 1972, quando un commando di tre persone assaltò l'aeroporto Lod (oggi Ben Gurion) di Tel Aviv, sparando contro la folla ed indossando bombe in modo da esplodere se colpiti dalla sicurezza. In quella occasione le vittime furono 24.
Nel decennio precedente l’11 settembre si contano quindi circa 300 attentati suicidi in almeno 14 paesi diversi, la metà dei quali commessi però da gruppi laici e aconfessionali. Ma nel solo 2003 se ne sono registrati oltre 100 ed in prevalenza compiuti da palestinesi contro civili israeliani. Nel 2004 questo tragico bilancio si è mantenuto alto, per gli attentati suicidi in Irak ed in Arabia Saudita.
Nella storia terroristica neanche l’utilizzo dell'aereo bomba è da ritenersi una novità. Infatti recentemente Omar Ckikim, l’ex capo del gruppo islamico armato (GIA), la più radicale delle organizzazioni integraliste algerine, ha rivelato che il dirottamento dell'airbus dell'Air France nella notte di Natale del 1994 con 229 passeggeri a bordo, si sarebbe dovuto concludere con lo schianto sulla Tour Eiffel, ma all'ultimo momento il piano fallì perché al sequestro non poté partecipare l’uomo capace di pilotare l’airbus sull’obiettivo. In uno scalo tecnico a Marsiglia per rifornimento i reparti speciali francesi intervennero uccidendo i quattro sequestratori.
Ufficialmente non è mai stato smentito neanche l’abbattimento in territorio israeliano, negli anni novanta, di due piccoli aerei da turismo, privi di passeggeri, pronti a schiantarsi su città israeliane.
Da questi fatti citati si evidenzierebbe quindi che il terrorismo internazionale degli ultimi anni non si distinguerebbe, per la scelta dei bersagli da colpire o delle modalità per attentare, da quello dei decenni precedenti, quale fenomeno nuovo. Ma se analizziamo un ulteriore dato notiamo invece una drammatica novità. Infatti dal 1970 al 2000 il terrorismo internazionale aveva provocato 10.000 vittime, mentre l’11 settembre 2001, cioè in un solo giorno, ha ucciso circa 3.000 persone. Se a questi aggiungiamo le vittime degli atroci attentati degli ultimi sei anni vediamo questo numero salire vertiginosamente. Senza poi considerare le gravi conseguenze che ha scatenato in ambito economico, delle politiche nazionali ed internazionali. Questo aspetto ci deve far allarmare in quanto dimostrerebbe la tragica efficacia del terrorismo, favorita dalla novità di una diffusa rete logistica e di supporto, che quindi giustificherebbe per il terrorismo islamico l’uso del termine neoterrorismo. Bisogna comunque ricordare che gli attentatori riuscirono a portare a conclusione gli attacchi agli Stati Uniti sfruttando le falle nella sicurezza americana e l’incapacità da parte dei servizi segreti internazionali di prevenire l’11 settembre.
La prevenzione è considerata difatti la più efficiente contromisura nei confronti del terrorismo, a cui spesso però si preferisce la semplice repressione con l’impiego delle tradizionali forze militari o di quelle speciali.
Per prevenzione s’intende difatti l’attività di intelligence interna ed esterna, mirata alla raccolta di informazioni che permettano di individuare da dove, da chi e con quali modalità possano prevenire minacce terroristiche o internazionali. Inoltre si intende prevenzione anche l’attività di vigilanza e polizia esercitata all’interno di un paese. In senso più ampio rientra nel concetto di prevenzione anche la rimozione di tutte quelle cause (economiche, sociali e politiche) che, in molte regioni dell’Africa settentrionale, del Medio Oriente e dell’Asia, sono alla base della scelta di migliaia di giovani di aderire al fanatismo religioso quale unico via di riscatto, ampliando così la base del terrorismo.
Il problema della prevenzione è che riesce a dare risultati efficienti solo nel lungo periodo, ma i governi, la cui vita politica dipende dal consenso popolare, non vogliono attendere tempi troppo lunghi per dimostrare la loro efficacia e fermezza contro le minacce, quindi preferiscono utilizzare la repressione più che la prevenzione.
Ma l'intervento militare da solo non può garantire la vittoria sul terrorismo. I soldati devono essere utilizzati come ultima ratio e comunque all’interno di una strategia più ampia che preveda di ricorrere anche a strumenti diplomatici, politici ed economici. Strategia che è mancata a Washington nella gestione del dopo guerra in Irak. Secondo gli USA, in base alla dottrina dell’uso della forza preventiva, il ricorso alle armi contro le minacce internazionale deve avvenire già nella fase di prevenzione. Colpire chiunque aiuti il terrorismo prima che questo attacchi, quindi l’uso della forza non più solo quale reazione ad un attacco, ma in prevenzione di questo.
Rientra nella strategia repressiva anche l’uso delle forze speciali. Queste infatti sono spesso impiegate per penetrare in territori stranieri per eliminare i capi terroristi o indebolire le difese dei paesi fiancheggiatori (le guerre di Afghanistan ed Irak sono state precedute da operazioni delle forze speciali Delta Force e SAS). L’utilizzo dei reparti speciali è sfruttato da Israele che da molti anni pubblicamente ricorre alla cooperazione tra intelligence e militari per eliminare gli esponenti delle organizzazioni giudicate terroristiche. Tale pratica deve essere utilizzata con molta attenzione infatti, oltre a non eliminare le cause reali del terrorismo e raramente riesce a destabilizzare i gruppi terroristici che infatti rapidamente sostituiscono i capi uccisi, può provocare reazioni controproducenti. Non solo, pone anche inevitabili interrogativi, presso la propria opinione pubblica, sulla legittimità da parte di un paese civile e democratico di autorizzare omicidi di Stato.
Roberto Di Ferdinando