lunedì 19 maggio 2008

Viaggio in Africa. Alla ricerca del passato ed alla scoperta di un paese unico: l'Etiopia

I racconti di Dire Dawa n. 3. La Festa del Timkat a Gondar
Le seguenti foto sono a corredo del racconto del Professore
Dire Dawa Gondar, recinto imperiale. Una delle residenze della dinastia di Fasilidas. Foto Della Lunga, 2007
Gondar, recinto imperiale. Il palazzo adibito a biblioteca, sullo sfondo e la foresteria sulla sinistra. Foto Della Lunga, 2007
Gondar, recinto imperiale. Foto Della Lunga, 2007
Gondar, recinto imperiale, palazzo di Fasilidas. Foto Della Lunga, 2007

Gondar, Timkat. Il bagnno di Fasilidas. Il bagno è attualmente in fase di restauro. Prima del restauro la cerimonia del battesimo si svolgeva in questa vasca. Foto Della Lunga, 2007
Gondar, Timkat. Pellegrini nei pressi dello Stadio. Foto Della Lunga, 2007
Gondar, Timkat. La processione del clero ortodosso con le tavole della legge. Foto Della Lunga, 2007
Gondar, Timkat. Predicatore sulla gradinata nei pressi dello Stadio. Foto Della Lunga, 2007

1 commento:

Unknown ha detto...

Da alcuni anni il nostro governo sta cercando di incentivare il turismo. L’Etiopia è piena di ricchezze in parte sconosciute ed in parte ancora da esplorare. I turisti che vengono dalle nostre parti si dirigono generalmente verso il nord, lungo la cosiddetta “rotta storica” e verso il sud, per visitare i grandi parchi naturali. La “rotta storica” è così chiamata perché permette di visitare le città più importanti dell’antica Abissinia e quelle dove si è affermata la cultura cristiana che ancora oggi è uno dei tratti dominanti delle popolazioni dell’altopiano. La religione musulmana invece si è affermata nei bassopiani. Non è comunque raro trovare moschee anche nelle città del nord, accanto alle chiese ortodosse. Da noi le due comunità religiose vivono senza particolare animosità. A nord di Addis Abeba, soprattutto nella regione del Tigrè, si possono visitare numerosi monasteri ed alcune città dove in passato i sovrani etiopi hanno eretto le proprie dimore. L’itinerario generalmente parte da Bahir Dar, la porta sul lago Tana, foce del Nilo Azzurro, con le supreme cascate di Tis Isat (acque fumanti) per poi proseguire verso nord, verso Gondar, Axum, Adwa, Adigrat, nella regione del Tigrè, per poi scendere di nuovo verso Addis Abeba, lungo la strada tracciata dagli italiani durante la loro colonizzazione. Impressionante e di rara bellezza, per lo scenario naturale che si apre, è il tratto di strada che va da Gondar ad Axum. La strada infatti attraversa i monti del Simien (che significa nord, nella lingua amhara) che assomigliano, sotto certi aspetti, al Gran Canyon negli Stati Uniti. Anche Curzio Malaparte, il vostro giornalista toscano, ne parlò in una corrispondenza con il Corriere della Sera, del 1936. La strada che invece scende da Adigrat verso Addis Abeba tocca alcuni luoghi famosi, come il lago Ashanghi, nei pressi del quale venne firmato il Trattato di Uccialli (Wichale), l’Amba Aradam, teatro di numerose battaglie, Dessiè, fino ad arrivare di nuovo ad Addis Abeba. Nella regione del Wollo infine, sulle montagne del Lasta, sorge la mitica Lalibela, tempio della cristianità ortodossa etiope. Il percorso si snoda per circa 2.500 km. A sud invece vi sono i grandi parchi naturali ed i laghi, oltre al fiume Omo – Bottego, dove vivono alcune tribù come i Konso, ed i Mursi, caratterizzati dal loro piattello labiale.
Uno dei luoghi obbligatori da visitare, se si sceglie la “rotta storica”, è Gondar. E’ una città che si è sviluppata attorno ad una conca. Ci si può arrivare in aereo o in fuoristrada, con la pista che congiunge Bahir Dar a Gondar. Questa strada oggi è in perfette condizioni ed è stata recentemente ripavimentata. Da Bahir Dar a Gondar sono circa tre ore di viaggio. A Gondar si possono vedere le fortificazioni ed i castelli fatti costruire durante il regno di Fasilidas. Le costruzioni ricordano molto l’architettura portoghese (se andate a Lisbona e vedete la torre di Belèm ed il castello dei Mori, troverete delle similitudini). Pare infatti che i portoghesi fossero arrivati alla corte di Fasilidas per sconfiggere i musulmani, in una delle tante guerre condotte da queste parti fra i seguaci delle due religioni. L’ascesa di Gondar come città si deve al re Fasilidas che si stabilì nella conca intorno al 1636. Fasilidas ed i suoi successori si sarebbero stabiliti a Gondar per circa duecento anni. Si trattava della prima volta in cui un re etiope decideva di stabilirsi, in maniera stanziale, in una città. Per questa ragione ancora oggi è possibile vedere i bellissimi palazzi che fanno parte del cosiddetto “recinto imperiale”.
Il recinto è per l’appunto un’area cinta da mura al cui interno sono ancora presenti e ben conservati una serie di castelli edificati, come dicevamo, su ispirazione portoghese. Sulla paternità delle strutture c’è ancora una disputa fra gli studiosi. C’è chi sostiene che i palazzi siano stati costruiti realmente dai portoghesi, che erano arrivati in Etiopia già cento anni prima, e chi sostiene invece che siano stati costruiti da architetti etiopi. Non è possibile stabilirlo ancora con certezza. Fasilidas governò dal 1632 al 1667. Alla sua morte gli succedette il Johannes I il quale continuò a governare secondo le linee pacifiche introdotte dal padre. Alla sua morte, nel 1730 fu il momento del figlio Iyasu II. Ma da allora la situazione interna iniziò a deteriorarsi anche a causa delle guerre con i galla (quelli che per gli europei erano stati, nel basso medioevo, i barbari). Insomma, Gondar è ancora oggi una città da vedere. Anche gli italiani avevano trovato affascinanti i resti ben conservati del recinto imperiale e del bagno di Fasilidas. Da qui sarebbero partiti per cercare di sviluppare i primi flussi turistici.

Torneremo spesso a parlare di questi ed altri luoghi, per il momento però non sarò io a raccontare quanto alcuni vostri connazionali che ho conosciuto e che sono venuti qua a gennaio del 2007. Sono rimasti affascinati dalla nostra terra e piacevolmente colpiti dalla festa del Timkat che hanno visto a Gondar. Saranno dunque loro a raccontarvi l’Epifania copta.
19 gennaio 2007. Gondar, la festa del Timkat
Il pullmann ci lascia nei pressi del Recinto Imperiale, in un piazzale largo abbastanza da contenerne una decina. Significa che Gondar è, a queste latitudini, una cittadina che riesce ad attrarre un po’ di turismo. Ma oltre ai castelli, l’elemento di maggior richiamo è indubbiamente la festa del Timkat, l’epifania copta, che ci apprestiamo a vivere in presa diretta. Già da ieri sera, quando siamo arrivati nell’antica capitale abissina, sotto il regno di Fasilidas, i preparativi della festa erano evidenti. Bandierine appese un po’ in tutte le strade, i colori nazionali dappertutto. Ma ancora non sapevamo cosa avremmo visto. La guida ci raccontava che la festa sarebbe iniziata il pomeriggio del 18 gennaio per arrivare all’alba al suo naturale epilogo.
Siamo in cima alla collina, da lì parte un viale che, dopo circa trecento metri, culmina davanti ad una delle sedi del Ministero delle Comunicazioni, una palazzina di chiaro stile fascista, come tutte le case e la piazza costruite in questa zona. La processione si snoda lungo questo itinerario, parte cioè dal piazzale prospiciente il Recinto e si avvia verso la Piazza. Poi si inizierà a scendere verso il campo sportivo, fino al bagno di Fasilidas dove la cerimonia terminerà la mattina del giorno successivo.
La processione è qualcosa a metà fra una festa religiosa ed una festa di paese, caratterizzata da balli, canti e melodie. Il corteo è aperto dalle massime autorità del clero copto che portano con se il Tabot, o le tavole della legge o l’Arca dell’Alleanza. Durante la festa infatti, i preti ortodossi tolgono dal maqdas delle loro chiese le tavole della legge e le portano in processione, ricoperte da coloratissimi tessuti damascati. Poi seguono i fedeli, fra cui tantissimi ragazzi, raggruppati in squadre con un costume che simboleggia i passi del battesimo di Cristo. Alcuni hanno una maglia azzurra, altri rossa, tutti hanno disegnata la croce cristiana. Fra un passaggio di un gruppo e l’altro si snoda una processione di religiosi, che pare mantengano il collegamento fra un gruppo e l’altro. I curiosi stanno ai lati della strada, ma il rumore dei tamburi, i canti e le melodie sono continue e ripetute. I manifestanti ed i religiosi sembrano totalmente assorti nelle loro liturgie. Non vedono la folla che si accalca, anzi, non la sentono proprio. Noi siamo nel mezzo, siamo affascinati dai colori, dai costumi, dai suoni, dalla festa. L’emozione ci coglie, perché la festa è rumorosa, colorata, variopinta ed anche un po’ surreale. Immaginate centinaia di persone, alcune vestite di bianco, altre di costumi tipici colorati, molti con qualche cencio addosso, tanti con lo shamma bianco e tanti, tanti turisti. Immaginate poi di assistere ad uno spettacolo di questo tipo in un luogo lontano dalle nostre latitudini, di fronte a persone povere che hanno nella fede il baluardo più forte. Immaginate che l’occidentale ricco ed opulento è realmente solo in un mondo così diverso e pare realmente capitato per caso in una manifestazione di questo tipo. Pare davvero di essere tornati indietro nel tempo; sono poche le cose che ti collegano alla tua vicenda terrena, perché la gente è diversa, perché sono più poveri, perché anche nella povertà si trova dignità e speranza. Siccome ti pare davvero di essere in un altro mondo, anche tu puoi pensare di essere un’altra persona rispetto a quello che sei normalmente e trasformarti in un cronista o nel grande inviato. Così ti viene voglia di immortalare l’evento e fare quelle cose che la tua razionalità non farebbe: ti butti nel mezzo della processione, ti prendi le contumelie dei fedeli che si sentono giustamente oltraggiati dalla tua ingombrante presenza lungo un cammino sacro, che insomma sei il solito occidentale che non capisce e che capita lì con la sua macchinetta fotografica e con un po’ di arroganza, infilandoti proprio dove non devi infilarti. E tu comunque scatti, scatti più foto possibile perché questa è un’occasione irripetibile. Tamburi, suoni, melodie, colori e gente, gente, gente dappertutto. Spintoni, con la folla che ti porta da una parte all’altra della strada. Immaginate di perdervi in un momento come questo. Qua non siamo a casa o in occidente dove magari trovi polizia e con un po’ di inglese strascicato riesci a farti capire. Non ci sono telefoni dalle parti, non c’è nulla e soprattutto non capisci la loro lingua. La sensazione ci sfiora e cerchiamo di stare uniti. Ma i tamburi rullano, le melodie aumentano, l’eccitazione si fa strada. Riusciamo a rimanere uniti e a seguire la folla o ad essere trascinati dalla folla. Ci arrampichiamo sulle scale che portano all’ingresso del Ministero delle Comunicazioni e grazie ad alcuni pali di metallo ed all’altezza, ci issiamo sopra e riusciamo a dominare tutta la piazza. Il colpo d’occhio è fantastico: in basso, dalle quattro strade che affluiscono alla piazza, si vedono arrivare i cortei, altri cortei che si uniscono a quello principale. Sono tutti colorati, e sono costituiti soprattutto da ragazzi. I cortei sono costituiti da piccoli gruppi di fedeli ognuno dei quali indossa un costume tipico. La croce campeggia in quasi tutti i costumi. Poi ci sono i bastoni. Ed i tamburi. I canti sono improntati ad una sincera gioia ed alla voglia di condividere, tutti insieme, un momento di felicità. Scendiamo nuovamente nella piazza e ci lasciamo trascinare dalla folla. La processione prende la strada che scende verso l’ingresso del paese, rispetto alla posizione che avevamo (la postazione sul Ministero delle Comunicazioni), la strada scende verso sinistra. E’ ancora costeggiata da costruzioni che risalgono alla presenza italiana in Etiopia. Vi sono tante persone alle finestre che guardano lo spettacolo godendo della loro posizione privilegiata. Noi iniziamo a scendere e rientriamo nuovamente all’interno del corteo. Ci facciamo più coraggio perché notiamo che ci sono molti turisti, come noi, che seguono l’evento. Non ci sono italiani (o forse si, ma sono molto pochi), mentre ci sono molti inglesi, tedeschi, olandesi ed australiani. Continuiamo a scendere fra la folla variopinta. Pare che tutta Gondar sia confluita nelle processioni. Ad un certo punto raggiungiamo la testa della processione, con il clero copto adornato da bellissimi abiti damascati e colorati. Al centro si staglia la figura di un prete, un uomo con il volto magro, affilato, con un pizzetto che gli fa da contorno. Il suo sguardo è duro, diretto, ma assai lontano. Probabilmente è lui il capo della chiesa locale e quello che porta, come vuole la leggenda, le tavole della legge.
Ha un abito rosso e giallo ed un copricapo che pare un elmetto.
E’ contornato da altri religiosi con gli ombrellini che lo coprono e lo proteggono. Cerco di fare più foto possibili a questa figura. Poi scatto ancora, intorno a me ci sono religiosi che suonano ed agitano i sistri. Stiamo arrivando nella zona dello stadio, presto la processione chiuderà in cerchio attorno al parcheggio, prima di entrare nel recinto che ospita i bagni di Fasilidas. Continuiamo fino ad arrivare nella piazza e ci prendiamo un po’ di riposo. Ma la processione non è terminata, il corteo continua a ruotare concentricamente nella piazza ancora per un paio di ore. Noi saliamo sulla gradinata e rimaniamo, assieme a tantissimi altri turisti ad osservare. Poi rientriamo, stanchissimi ma felici di aver assistito ad uno spettacolo unico, in albergo. In attesa di svegliarci alle cinque del mattino successivo, per assistere al rito del battesimo.