domenica 7 giugno 2009

Notizie dal Cairo: Obama apre le porte dell'America e dell'Occidente all'Islam

Un discorso memorabile, per lunghi tratti rivoluzionario quello tenuto dal Presidente degli Stati Uniti d'America Barack Hussein Obama oggi, all'Università del Cairo, capitale egiziana. Una rottura fortissima con l'ultima politica estera della grande superpotenza, una sconfessione quasi totale dell'amministrazione Bush, un'apertura senza precedenti al mondo. Riportiamo tutto il discorso, tratto dal sito di Repubblica. A cura di Francesco Della Lunga

3 commenti:

Francesco ha detto...

Un discorso rivoluzionario la cui portata rimarrà enorme nei prossimi anni. Obama ha fatto a pezzi in un discorso di circa 12 pagine gli ultimi 8 anni di amministrazione repubblicana, ha stroncato la guerra in Iraq, ha perorato la causa dei palestinesi. E’ riuscito a mantenere saldi alcuni principi che hanno ispirato da almeno sessant’anni la politica estera americana come il legame indissolubile con Israele, ma ha anche, per la prima volta, aperto ad Hamas, un gruppo che agli occhi di tutti i politici occidentali era ed è considerato un gruppo di terroristi. Un gruppo nato grazie anche alla politica israeliana che con l’avvento di Sharon, non ha fatto sconti al vecchio ed acerrimo nemico Arafat, contribuendo alla nascita del partito oltranzista che si è insediato da un po’ di anni a Gaza. Su questo naturalmente hanno pesato anche la pessima percezione che i leader di Al Fatah hanno dato ai propri sostenitori negli ultimi anni e la corruzione che, secondo gli osservatori, dilagava alla Muqata. Ma Obama ha parlato anche di altro, ha dichiarato che gli Stati Uniti non esporteranno la democrazia ai paesi che non sono pronti o che non vogliono saperne. In altre parole, la nuova amministrazione non perorerà altre guerre con altro sangue di giovani americani. Quello che colpisce è la schiettezza del messaggio in un mondo dove la verità rimane quasi sempre confinata in un angolo. Ascoltando i TG e vedendo le immagini dello storico discorso, pare quasi che Obama abbia parlato ai propri elettori piuttosto che ad una popolazione eterogenea, accomunata, all’interno dei propri confini politici, da regimi autoritari, da gruppi di terroristi fondamentalisti che fomentano la frustrazione del mondo islamico verso l’occidente ricco ed opulento, da forti contrasti sociali e dalla religione islamica che è ancora lontana dalla secolarizzazione. Uno dei passi più vibranti è quello che segue, ed è quasi in chiusura di tutto il discorso:
(segue prossimo commento) FDL

Francesco ha detto...

(SEGUE DAL PRIMO COMMENTO)
“…..
È più facile dare inizio a una guerra che porle fine. È più facile accusare gli altri invece che guardarsi dentro. È più facile tener conto delle differenze di ciascuno di noi che delle cose che abbiamo in comune. Ma nostro dovere è scegliere il cammino giusto, non quello più facile. C'è un unico vero comandamento al fondo di ogni religione: fare agli altri quello che si vorrebbe che gli altri facessero a noi. Questa verità trascende nazioni e popoli, è un principio, un valore non certo nuovo. Non è nero, non è bianco, non è marrone. Non è cristiano, musulmano, ebreo. É un principio che si è andato affermando nella culla della civiltà, e che tuttora pulsa nel cuore di miliardi di persone. È la fiducia nel prossimo, è la fiducia negli altri, ed è ciò che mi ha condotto qui oggi.
…..”

Io lo leggo cosi:
• “E’ più facile dare inizio ad una guerra che porle fine”. Mi pare impossibile non pensare all’ultima guerra voluta da George W. Bush, la guerra all’Iraq che ha diviso l’Europa, mostrando in maniera violenta lo scontro fra le varie anime del vecchio continente, fino a generare il gruppo della “vecchia Europa”, caratterizzata dalla vecchie democrazie liberali post seconda guerra mondiale (Francia e Germania) dalle quali mancava clamorosamente l’Italia, e la “nuova Europa”, quella nata dalle ceneri del comunismo, con i PECO in prima linea (assieme all’Italia ed alla Gran Bretagna, ma quest’ultima non era certo una novità, semmai una continuazione di un discorso lungo due secoli). Washington è ancora invischiata sul territorio iracheno, ma Obama ne ha tracciato in maniera inequivocabile la “exit strategy”. Nei prossimi mesi gli statunitensi lasceranno definitivamente il paese. Il Presidente ha invece difeso la guerra in Afghanistan, nata dopo i fatti dell’11 settembre. Ma di fronte a quanto affermato nella globalità, non si è forse troppo fuori luogo nel considerarla quasi una difesa d’ufficio. A corollario di un discorso che annienta la politica di Bush/Cheney, e relega alla storia il PNAC (The Project for the New American Century, www.newamericancentury.org) dei vari Kagan e Kristol, la questione della chiusura di Guantanamo. Nonostante le difficoltà interne Obama ha ancora una volta promesso che la base a Cuba chiuderà entro la fine dell’anno.
• “E’ più facile accusare gli altri invece che guardarsi dentro”. Mi pare che si metta in discussione la portata universalistica del senso della “missione” statunitense nel mondo. Nonostante il fatto che il Presidente in alcuni punti riaffermi il senso della speranza e dell’uguaglianza tipica della grande democrazia americana, della terra delle opportunità, della terra del riscatto degli ultimi, pare che questo messaggio non venga più veicolato direttamente dai bracci della democrazia statunitense verso gli altri stati con interventi diretti. In sostanza, pare riscontrare un desiderio di riflusso, di rientro negli ambiti geografici naturali, in quel continente americano che un tempo, per i presidenti USA di fine Ottocento era il cosiddetto “giardino di casa”. Sarebbe davvero clamoroso se Washington iniziasse una “exit strategy” globale, consegnando il testimone del governo del mondo ad un’altra potenza che attualmente non può essere l’Europa.
(segue su prossimo commento) FDL

Francesco ha detto...

(SEGUE DAL SECONDO COMMENTO)
• “E’ più facile tener conto delle differenze di ciascuno di noi che delle cose che abbiamo in comune”. In tutto il discorso Obama punta a mettere in evidenza i principi generali che debbono prevalere per la convivenza fra i popoli. Anche questo può essere visto come un tentativo per riaffermare la supremazia dell’ideale americano ripartendo dalla forza di principi che stanno a cuore ad ogni cittadino. Da una superpotenza militare ad una superpotenza morale? E’ forse troppo presto per dirlo. I prossimi anni ci diranno se gli americani intendono realmente perseguire questo obiettivo, se tale può essere identificato, allo stato delle cose.
• “Ma nostro dovere è scegliere il cammino giusto non quello più facile”. Pare una dichiarazione scontata, eppure anche questa, a suo modo, è di una semplicità devastante. E’ un invito a credere nei propri ideali di giustizia e di impegnarsi per affermarli. Nessun grande principio si afferma se non si lotta per averlo.
• “C'è un unico vero comandamento al fondo di ogni religione: fare agli altri quello che si vorrebbe che gli altri facessero a noi. Questa verità trascende nazioni e popoli, è un principio, un valore non certo nuovo. Non è nero, non è bianco, non è marrone. Non è cristiano, musulmano, ebreo. É un principio che si è andato affermando nella culla della civiltà, e che tuttora pulsa nel cuore di miliardi di persone. È la fiducia nel prossimo, è la fiducia negli altri, ed è ciò che mi ha condotto qui oggi. E’ un invito a combattere il razzismo.

Per i nostri leader: se ci siete, battete un colpo. Ma l’Italia non è capace di ascoltare e mettere in pratica un messaggio di questa portata. E’ troppo occupata in altre questioni, assai meno nobili. D’altronde, la nostra forza di propulsione, è forse cessata definitivamente nel trecento. Poi siamo sempre stati al traino di qualche altra potenza. I nostri orizzonti sono ormai confinati totalmente al giardino di casa, con la dissoluzione di quel poco di “senso della cosa pubblica” che probabilmente non è mai maturato negli ultimi sessant’anni repubblicani. Non abbiamo il senso della Storia perché non condivisa, ma soprattutto non abbiamo un progetto comune. Non sappiamo insomma né cosa siamo né cosa vogliamo e conseguentemente dove andiamo. Quanto dovremo ancora aspettare?

Francesco Della Lunga