giovedì 29 dicembre 2011

La banca delle sementi

(fonte: Sette-Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Nelle isole Svalbard (Norvegia), a 1.200 km dal Polo Nord, all’interno di una montagna a 120 metri di profondità, in ambienti delimitati da muri di calcestruzzo e porte d’acciaio, capaci di sostenere l’impatto di un terremoto, di attacchi nucleari e terroristici, sono custoditi milioni di semi ed il loro patrimonio genetico che garantirebbero, in caso di calamità catastrofiche per la Terra, una rinascita delle coltivazioni. Esistono inoltre localmente anche altri tipi di banche dei semi ad esempio nella cittadina USA di Ames (Iowa), qui le sementi (in particolare cereali e mais) sono in stanze refrigerate a bassi livelli di umidità, oppure a Harbu (Etiopia) dove la Ethio Organic Seed Action, ha realizzato una banca dei semi per fornire una sicurezza in più ai contadini che dovessero perdere il raccolto o in caso di siccità. Ancora negli Usa e sempre nell’Iowa esiste l’antica Seed Savers Excange, l’organizzazione dedita alla conservazione e scambio delle sementi senza fine di lucro.
Queste banche hanno lo scopo, anche, di garantire al maggior numero di persone l’accesso ai semi e quindi garantire le coltivazioni e coltivazioni diverse. Infatti ormai superata la cifra di 7 miliardi di abitanti sulla Terra, gli esperti si interrogano sulle reali capacità del nostro pianeta di sostenere anche da un punto di vista alimentare tale boom demografico. Nonostante il ritmo di crescita sia rallentato (+1.1%) e si preveda che a livello mondiale nel 2070 si stabilizzi, alcuni dati però preoccupano, in quanto si prevede che alcune regioni invece triplicheranno la propria popolazione, ad esempio i paesi africani e l’India che entro 10 anni supererà la Cina quale paese più popoloso. Si presenteranno quindi, sul piano delle coltivazioni alcuni problemi, quali quello ecologico (il sempre maggior impiego di fertilizzanti per garantire prodotti alimentari più rapidamente), energetico e perdita della biodiversità.
Eppure la produzione alimentare oggi sarebbe in grado di soddisfare la domanda mondiale, sarebbe, ma esistono due problemi, la cattiva e non equa distribuzione di tali prodotti e l’aumento esponenziale (in particolare da parte di Brasile e Cina) di proteine animali (carne bovina). Infatti per produrre un chilo di carne bovina si consumano 10 chili di proteine vegetali (oggi 1 miliardo di persone non ha di che mangiare). Interventi necessari dovrebbero indirizzarsi sull’ecosistema, come ricorda Claudia Sorlini, ex preside della Facoltà di Agraria di Milano, intervistata da Sette: “il terreno non deve essere sfruttato eccessivamente per poi essere abbandonato quando non produce più. […] In occidente, invece si dovrebbero evitare le monocolture o le colate di cemento che sottraggono aree fertili all’agricoltura”. Altri aspetti su cui lavorare la riduzione degli sprechi (circa il 30-35% degli alimenti) e le difficoltà, in particolare nei paesi più poveri di poter conservare a lungo i cibi, in mancanza di un’adeguata catena del freddo. Ed ancora l’aumento delle materie prime alimentari. Secondo il Food Price Index della FAO, in un anno il costo del cibo è aumentato del 39%, dei cereali del 71%.
RDF

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