domenica 17 marzo 2013

L’ambasciatore italiano “trattenuto” in India


(fonte: Corriere della Sera), testo di Roberto Di Ferdinando

La vicenda dei due marò in India, sta diventando oltre che molto lunga nei tempi ed incerta sugli esiti legali per i due militari, anche drammaticamente confusa e quasi ingestibile. Infatti, oggi stiamo commentando un caso raro nel mondo diplomatico. L’ambasciatore italiano in India e Nepal, Daniele Mancini, è trattenuto nel subcontinente asiatico, quindi non può uscire dal paese, nonostante sia persona non “gradita”dal governo indiano. Questo perché Roma non farà rientrare i due marò in India, dopo aver ottenuto un permesso di 4 settimane in Italia per esercitare il loro diritto di voto. I rapporti diplomatici Italia-India così sono a livelli minimi. L’ambasciatore Mancini non è più persona gradita in quanto aveva sottoscritto con il tribunale indiano competente del caso un accordo (ovviamente autorizzato dal governo di Roma) e quindi facendosene garante, che stabiliva che i due marò al fine del permesso sarebbero tornati in India. Pur non essendo gradito il diplomatico egli non può lasciare l’India , un quasi fermo. Inoltre l’India ha sospeso le procedure d’insediamento del proprio nuovo ambasciatore a Roma. Questo atteggiamento dell’India, però, viola l’immunità diplomatica garantita dalla Convenzione di Vienna del 18 aprile 1961, (http://www.unifi.it/offertaformativa/allegati/uploaded_files/2011/200011/B000114/Convenzione%20Vienna%20sulle%20relazioni%20diplomatiche%201961.pdf ), che recupera un antichissimo  principio (ne impediatur legatio), secondo il quale uno Stato non può adottare misure che impediscano le attività della missione diplomatica. Il rischio è che l’India stia “trattenendo” l’ambasciatore Mancini come pedina da usare per sollecitare il governo italiano a far rientrare in India i due marò.
L’ambasciatore Mancini, 60 anni, è giunto in India a gennaio 2013. Laureato in Scienze Politiche con il massimo dei voti e lode alla Sapienza di Roma è diplomatico dal 1978. Negli anni Ottanta ha lavorato a Baghdad, quale primo segretario, poi Madrid, Islamabad, Washington, Parigi, alla Nato e in Romania. Dal 1988 al 1993  faceva parte del gabinetto degli allora vari Ministri degli Esteri (Andreotti, De Michelis, Scotti, Colombo e Andreatta) e fino a dicembre 2012 è stato il consigliere diplomatico del ministro per lo sviluppo economico, Corrado Passera. Mancini è anche giornalista pubblicista con una varia produzione, dalle poesie  a temi storico-economici.
RDF

1 commento:

Uebi Shabelle ha detto...

La vicenda dei marò è molto complessa, e a mio avviso le riflessioni che possono essere fatte su questo fatto sono almeno due. La prima riflessione ci fa pensare che il nostro Stato abbia agito con forza, anche se dopo aver promesso solennemente che i due militari sarebbero stati ricondotti in India al termine del secondo permesso concesso. Insomma, un intervento tardivo ma comunque in linea con la nostra dignità nazionale posto che il governo indiano avrebbe utilizzato questo episodio come un pretesto per tacitare l'opposizione interna al governo, assai forte in questo periodo. Il secondo pensiero è che comunque il nostro paese non ne esce bene perchè, ancora una volta, avrebbe disatteso gli impegni internazionali. A mio avviso l'Italia avrebbe ragione almeno sulla questione più strettamente giuridica perchè nel caso di un'azione condotta da una forza internazionale ed in acque internazionali la giurisdizione sarebbe dello Stato sotto cui i militari agiscono. Gli indiani eccepiscono su questo punto dicendo che l'azione che avrebbe indotto i marò ad uccidere erroneamente i due pescatori indiani sarebbe avvenuta nella zona economica esclusiva e quindi, secondo la convenzione del diritto del mare, sempre sotto giurisdizione del governo indiano. La posizione italiana, di promuovere la soluzione del contenzioso attraverso l'affidamento ad una corte internazionale e quindi risolvere anche diplomaticamente il contenzioso in atto, sarebbe stata corretta ed accettabile dagli indiani, senza che questi perdessero la faccia. Ma gli indiani non hanno voluto cedere trasformando questo episodio in un braccio di ferro con l'Italia, paese con il quale negli ultimi dieci anni le relazioni sono state ottime e foriere di numerosi accordi economici. Insomma, un groviglio quasi inestricabile su cui forse l'Italia avrebbe dovuto cercare di non consegnare i militari subito dopo il fatto. Oggi la decisione del governo italiano, seppure poco dibattuta dall'opinione pubblica, appare effettivamente poco corretta. Forse si doveva cercare di tutelare meglio i marò, ma evidentemente non è stato possibile. Ma l'opinione pubblica internazionale verso la quale il governo Monti ha sempre avuto un occhio di riguardo pare accettare con difficoltà il fatto compiuto, che fra l'altro, farebbe anche a pezzi le ragioni giuridiche che l'Italia ha sempre sostenuto. Una pagina non certo esemplare per il governo uscente. Fortuna che gli italiani paiono essere interessati a tutt'altro.